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Sessant’anni portati male per la costituzione di uno stato vecchio

Il 27 dicembre 1947 venne promulgata la costituzione italiana. Non voglio pronunciarmi su aspetti giuridici su cui non ho competenza. L’anniversario è in ogni caso un momento utile per portare qualche commento politico a quella che viene definita legge fondante e fondamentale di uno stato che sta attraversando una delle crisi dagli esiti più incerti della sua brevissima, violenta e incompiuta storia.
Brevissima perché 141 anni (tanti sono per noi veneti quelli che ci uniscono territorialmente all’Italia per tramite di un referendum illegittimo definito da molti – in primis da Indro Montanelli – “plebiscito truffa”) sono proprio pochi, a maggior ragione se raffrontati proprio alla millenaria storia della sovranità veneta.
Violenta perché, come ben ricorda Vittorio Dan Segre nel suo “Le metamorfosi di Israele” per vedersi riconosciute le proprie frontiere a malapena sono bastate cinque guerre nazionali, tre guerre coloniali, la partecipazione ondivaga a due guerre mondiali e almeno due grandi conflitti civili interni.
Incompiuta perché proprio ora emergono forti come non mai le spinte all’autogoverno in molti parti dello stato, in primis proprio nel Popolo veneto che negli ultimi quarant’anni ha testimoniato una vieppiù crescente volontà di autogoverno e libertà, di fronte ad un centralismo ben rappresentato proprio da quei 139 articoli di cui oggi si ricorda il sessantesimo compleanno e che proprio nel Veneto e in Lombardia hanno visto un voto referendario ampiamente favorevole a una riforma in senso federale dello stato.
La costituzione italiana dimostra di portare molto male i propri sessant’anni. Le rughe politiche sono molteplici e la rigidità giuridica emerge con tratti sempre più forti di distonia con le ragioni della politica globale e con le esigenze di condivisione sociale che la rendono uno scritto distante, rigido, imposto e innaturale, in particolare proprio per il Popolo veneto.
Essa inoltre presenta forti contraddizioni proprio con quella legalità internazionale che pur si vorrebbe sempre più incisiva rispetto al diritto dei singoli stati, oltreché per ovvie esigenze di buon governo, in particolare per ciò che attiene al principio fondamentale ed inalienabile all’autodeterminazione dei popoli che ipocritamente viene pure recepito e ratificato con legge dello stato ormai più che trentennale e tra questi in particolare di quel Popolo veneto che pure trova definizione giuridica nella giurisprudenza italiana da più di 36 anni.
Si avvicina pertanto il momento storico del nodo giuridico da sciogliere tra il divieto costituzionale di esercizio di referendum propositivi e il riconoscimento giuridico all’autodeterminazione del Popolo veneto, che sarà esercitata nel momento in cui i rappresentanti politici democraticamente eletti dai cittadini veneti riceveranno mandato all’indizione di un referendum per l’indipendenza.
Sarebbe cosa buona e saggia prevedere prima di allora un opportuno emendamento costituzionale che riconoscesse esplicitamente tale diritto pur valido de facto dato che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”. Tali diritti, in quanto riconosciuti, sono infatti considerati diritti naturali, non creati giuridicamente dallo Stato ma ad esso preesistenti. Tra essi, ricordiamolo, il diritto all’autodeterminazione dei popoli e in particolare il diritto all’autodeterminazione del Popolo veneto.

Gianluca Busato

Comitato PNV

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