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E l’Italia (sci)vola via

Riflessioni per l’anno che verrà

“E’ Capodanno. Speriamo che passi senza danno”. Così Umberto Curti, poeta genovese. L’anno si chiude con segni di immenso degrado. Chi (forse) è un assassino viene invitato da chi (forse) è un imprenditore a firmare una linea di occhiali, e cedere per € 50.000 i diritti sulle sue memorie. Intanto i pezzi del fresco cadavere di una giovane donna attendono ancora di essere ricomposti, era un corpo ed è divenuto un puzzle. Mi insegnava Edoardo Sanguineti – per un libertario aver avuto un maestro marxista è un grande vantaggio, evita la ripetizione di errori – che in alcuni periodi di degrado non l’arte imita la vita, ma la vita l’arte. E chissà che Fusaro – se è lui l’autore del delitto – non si sia ispirato a Derek Raymond, giallista noir tra l’altro tradotto in Italia da un editore patavino, Meridiano Zero. I cadaveri smembrati nei sacchetti, il furetto, o meglio gli occhi da furetto, di Aprile è il più crudele dei mesi. Poi qualcuno spiegherà anche che il “business è business” alla famiglia Tassitani e alla comunità di Castelfranco. Ma forse saranno più i giovani colti da orrore, piuttosto che quelli che compreranno gli occhiali con cotali griffe. Perché credo che un sentimento morale covi nella gioventù e questa sia la speranza del futuro, dell’individuo, delle comunità, della Venetia. L’anno si chiude, oltre che con morti ammazzati, con una bella serie di insulti alla Venetia e al popolo veneto giunti dai rappresentanti del governo centrale: Amato, Veltroni, e in ultimo Visco si sono cimentati in codesto nobile esercizio, infamare una regione e un popolo senza le quali la chiattona – grande chiatta, ma non solo –  Italia andrebbe alla deriva. Deboli le reazioni dei Veneti istituzionali: che vi sia una diabolica novella alleanza tra Stato e notabili veneti per umiliare vieppiù questo popolo, contentandolo poi con “autonomie”, “federalismo fiscale” e altre graziose e penose concessioni à la lumbard? Vale solo, in ultimo, iniziare l’anno riflettendo sui nomi delle “nostre” campionesse di sci. Denise Karbon e Nicole Gius appartengono a quella parte del mondo “italianizzata” da una guerra bestiale e immonda, e non solo nel nome, perfino nell’accento conservano tratti germanici, di culture altre. Non è assai più “italiana” la seconda classificata, Julia Mancuso, che invece il mondo “nazionalizzato” e disumanizzato dai passaporti ci propina per “americana”? Chi di loro è più “italiana”? E, più che altro, cosa vuol dire veramente “essere italiani”? Non siamo forse tutti cittadini del mondo? E così, forse è meglio non mettersi ad indagare seriamente su quel che accadde con i plebisciti del 1866. “Chi ha avuto ha avuto ha avuto – i Savoia – chi ha dato ha dato ha dato – la Venetia…scordiamoci il passato…” E’ meglio non farlo perché forse avrebbero dovuto farlo gli storici da tempo, ma essendo tutti asserviti al carro dello Stato centrale, i loro libri sono busse per il lesso, ovviamente vedono positivamente il plebiscito, sarebbero pronti a baciare la tavola bronzea che ne ricorda i risultati in Riva degli Schiavoni (si rifletta su dove con involontaria, grandiosa autoironia, è stato messo, più schiavi di così…). Ma sotto ogni cenere covano le braci. Queste diverranno tizzoni. E come dice una canzone di Peter Gabriel, “you can blow out a candle, but you can’t blow out a fire…” E continua: quando la fiamma ha preso, il vento la spinge sempre più in alto.

Paolo Bernardini

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