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Ma che bella mangiatoia! “Io c’entro!”

Mai, che mi ricordi, si è vista tanta disaffezione verso le elezioni politiche. La disaffezione è solo sinonimo di rassegnazione, purtroppo. I cittadini di IT sanno che il loro salto è di volta in volta dalla padella alla brace, e poi su di nuovo sulla padella. Come San Lorenzo, vorrebbe dire al tiranno, “manduca, iam coctum est!”, ma IT ci vuole stracotti come il noto piatto piemontese (ma anche veneto, credo). Per citare l’opera di un anziano scrittore nichilista italiano, Guido Ceronetti, è, la nostra, la “pazienza dell’arrostito”. La povertà degli slogan in circolazione mostra come non sia neanche più richiesto lo sforzo della fantasia, tanto i futuri eletti sanno che gli italiani li sopportano appena ma che saranno destinati a rimandarli a ingrassare un pochino a Roma. Sembra che non ci sia via d’uscita. La hanno trovata in Kosova, in Montenegro, lo troveranno in Transilvania, e poi in Scozia e poi in Catalogna, ma noi dei nostri vampiri non riusciamo proprio a liberarci. Un’analisi del linguaggio degli slogan politici – dai “valori” allo “Io credo” della Santanché, che con quel suo sguardo nel vuoto sembra piuttosto una possibile Santa Nké di qualche rito kumina jamaicano o voodoo brasiliano, di qualche sincreti(ni)smo caraibico, passando al “coraggio” che detto da aspiranti deputati fa veramente paura – sarebbe assai utile per mettere a fuoco il degrado morale e materiale raggiunto. D’altra parte, si voterà per chi promette solo di alleggerirci meno il portafoglio, alla fine tutto si riduce a questo. Come un viandante ad un bivio, e che sappia che in ognuna delle strade che prenderà vi saranno dei bricconi: intuitivamente dovrà sceglierne una, mentre due galoppini, uno per ciascuna banda, al crocicchio urleranno a squarciagola: “Passi da qui, passi da qui, noi prendiamo di meno”. Il malcapitato non può fermarsi, può solo fidarsi. Speriamo, speriamo che mi scontino qualche aliquota marginale. Dimenticando che i tanto conclamati due o tre punti di sconto, sul 43%, sono proprio misera cosa: le tasse sul reddito nell’Ottocento raramente superavano, e solo in caso di guerra, la giusta decima. Ma ormai siamo in balia di una multinazionale di ladri. Una Venetia libera potrebbe chiedere il 15%, forse il 20% di flat tax. Non è cosa da poco. Oltre a restituire dignità ad un popolo e ad una terra. Che è cosa ancora più grande. Vorrei che tutti riflettessero su questo. E sul fatto che è forse vero come scriveva T.S. Eliot che Aprile è il più crudele dei mesi. Ma che potrebbe metterlo di esserlo se tutti rifiutassero di votare, e si presentassero al seggio chiedendo che sia messo a verbale il motivo del loro rifiuto di avvalersi di un diritto e di “compiere un dovere”: “Perché vorrei che il mio Veneto fosse indipendente, e non mi riconosco in questo Stato”. 

 

Paolo Bernardini

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