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La magia del numero 60 e il significato di un giuramento

Il presente governo Berlusconi è il sessantesimo della storia di IT repubblicana. E nasce nell’anno del sessantesimo anniversario della costituzione di IT, che in realtà è assai più antica, deriva direttamente dallo Statuto albertino del 1848. Che sia l’ultimo compleanno della costituzione, che sia l’ultimo governo di IT, o quantomeno l’ultimo governo dell’IT comprensiva della sua pingue colonia veneta, della Venetia? Lo speriamo con tutto il cuore. Fa un certo effetto vedere i ministri al giuramento. Ci sono parecchi vecchi che fanno di tutto per apparire giovani, e qualche giovane che fa di tutto per apparire vecchio. Qualche veneto esulta, “abbiamo tre ministri veneti!”. E allora? Cosa vuol dire? Che faranno gli interessi dei Veneti e non quelli degli abitanti di IT, ma prima di tutto i loro? Non hanno giurato sul Leone di San Marco. Il fratello di Romano Prodi, Paolo, storico di valore, capace di prese di posizioni coraggiose (ad un certo punto si mise anche contro il Papa, pur essendo cattolico), sul giuramento politico ha scritto un libro fondamentale, che mostra prima di tutto il significato e il peso di una parola data. Dovrebbero leggerlo Bossi e gli altri leghisti. Hanno giurato su una costituzione che ha tolto la libertà a tutti i popoli di IT, ivi compresi i padani e i veneti. Ma loro non ne erano i paladini? Non avevano giurato a Pontida, davanti alle ampolle di acqua del Po, parodia dell’Acqua Santa, in un singolare rito, in una singolare invenzione della tradizione? E allora, non stanno dunque servendo Dio e Mammona? O forse oramai giurare non conta più nulla, è come dire “giuro che ti amo” a 15 anni alla più bella della classe, per sbaciucchiarla poi per qualche settimana? No, in questo caso è molto peggio: vincolati da un giuramento allo Stato centrale e costituzione annessa, coloro che dovrebbero difendere prima di tutto interessi che vanno decisamente contro lo Stato centrale, dovrebbero trovarsi prima di tutto in un terribile conflitto di coscienza, e poi in conflitto nei confronti di coloro che li hanno votati. Ma ormai hanno giurato. Insomma, una piccola élite della casta, i ministri, hanno preso possesso dei loro dicasteri, e dovranno confrontarsi con un IT declinata all’ablativo, che sta scendendo sempre di più (ahimè non vi sono casi sotto all’ablativo, c’è l’abisso, però, che è un caso a sé). I ministri generalmente non hanno competenza nelle materie dei propri ministeri. Quello che mi interessa, la Pubblica Istruzione Università e Ricerca Scientifica, è andato ad una Dott. Avv. che forse non ha mai insegnato (che io sappia), ma cosa importa ormai? Gli abitanti di IT sono così sviliti che neanche si ribellano, va bene tutto, ci avessero messo un musso (oddio, c’era, erano anzi al plurale) sarebbe stato uguale. Il ministro questo ha un “merito”: è stata una brava donna di partito, ha coordinato, e dunque va premiata, con un ministero che in secoli diverse ebbe anche figure grandi: era fascista e questo me lo aliena di già, ma se negassi la grandezza, e la visione, di Giovanni Gentile, andrei contro la storia. Morì nel 1944. Da allora, non uno solo, tra i ministri dell’istruzione di IT repubblicana, era neanche comparabile all’idealista Gentile. Cosa servirebbe, del resto? Ormai il sistema IT è così, basta un burocrate che passi le carte, firmi i decreti. Non bisogna riformare IT, bisogna separarsi da IT, è l’unica strada praticabile. La Venetia libera magari metterebbe ad un ministero dell’università – se di esso ci sarà bisogno, se sarà ritenuto necessario – qualche scienziato, qualche professore, qualche studioso almeno. Così, per vaga affinità. Ma le logiche politiche e partitocratiche di IT sono talmente perverse, e tristemente accettate da un popolo rassegnato, che basta un merito di partito per conquistare posizioni che avrebbero bisogno, innanzi tutto, di immensi meriti professionali. E tra i 20.000 professori ordinari italiani ve ne sarà pure qualcuno non cattivo…Mah, che tristezza, che tristezza arrivare a rimpiangere perfino Giovanni Gentile. Il futuro è della Venetia libera. Questi ministri sono i liquidatori fallimentari di IT, sono quelli che fanno diventare Colbert un liberale, che tradiscono, ma perché non possono far altro, coloro che li hanno eletti nella sete di miglioramento, nell’ansia di fuga da una vita sempre più invivibile, da una realtà di povertà stringente. Non sono quello che gli abitanti di IT meritano: imprenditori, professionisti, scienziati di fama in tutto il modo, uomini di sostanza. Sono gli uomini di apparenza, costoro, che il sistema ormai finito manda lassù ove si puote, perché alternativa finora non c’è stata. Ma ora c’è. E l’ansia di libertà del popolo veneto e lombardo e sardo e siciliano e toscano non è astratta dalla storia. Abbiamo sodali perfino in Bolivia, la storia ci aiuta. Dal continente americano venne Garibaldi ad unire nel sangue ciò che non avrebbe dovuto essere unito, non a questo modo e a questo prezzo, in ogni caso. Da là giungono segnali ora che occorre invertire le lancette dell’orologio. L’unico modo per far sì che ricomincino a muoversi. Ora è tutto fermo. E’ la stasi. In greco, come mi insegnava il mio professore di filosofia antica, che come tanti miei maestri non è più tra noi, la parola “stasis” vuol dire degenerazione, putridume. O non è così?

Paolo Bernardini

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