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La dittatura mediatica: prove generali

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Milano, 19 luglio 2009. Parto alla volta di Como la sera tardi, dalla Stazione di Porta Garibaldi. Ogni volta che parto da questa stazione, con questo nome, stupisco di non trovarmi, alla fine del viaggio, non nell’amena località lariana, bensì nel profondo dell’inferno. Come in un bel racconto dello scrittore svizzero Friedrich Duerrenmatt, se non ricordo male. Un gruppo di passeggeri di un treno qualsiasi sente sempre più caldo, si domanda che cosa stia succedendo al sistema di riscaldamento dei vagoni, poi che cosa stia succedendo in generale. Finché i malcapitati non scoprono che il treno viaggia in direzione dell’Inferno.

La serata è torrida, il treno naturalmente in ritardo, i binari sporchissimi, tutti i negozi chiusi, i passeggeri, non pochi, trattandosi di una domenica sera, sembrano più smarriti e allucinati del solito. Ma quel che colpisce, che disturba fino alla nausea (me almeno) sono una serie di schermi televisivi distribuiti in ogni angolo, che circondando tutti gli astanti, e li bombardano con le medesime sequenze, spot ripetuti all’infinito, pochi ma cattivi, anzi, cattivissimi.

Quello che più turba riguarda proprio il Veneto. Un gruppo di atleti famosi fa pubblicità alle montagne e alle coste e alla cucina veneti; si alternano sulla scena in tute e costumi ed una immagine finale li riunisce tutti. Astuta propaganda del CONI, questa istituzione di ITA che costa assai al contribuente, e crea l’infelice illusione che gli atleti coronati da allori siano un prodotto del CONI stesso, dei “conati”, e non della loro caparbia e costanza, del loro mettere a frutto con pazienza e intelligenza il bene di un fisico eccellente che Dio ha loro donato. E’ uno spot ossessivo e riprodotto ossessivamente, chiaramente il suo vero scopo non è quello di far pubblicità al Veneto (ma ne ha bisogno?), neppure agli atleti o al CONI, ma è quello di far apologia di ITA, di mostrare a tutti quanto siano belli forti e d’oro o d’argento i suoi prodotti. Tanto è vero che uno di questi atleti tiene in mano un gagliardetto tricolore, peraltro in modo da velare le parti intime, quasi una foglia di fico bianca, rossa e verde: solo nell’ultima scena, ma basta e avanza. Qualcuno sta percependo con nari da segugio il pericolo. Meglio rafforzare in maniera subliminale l’immagine di ITA, altro che montagne e spiagge del Veneto! Ed ecco cotale spot.

E allora l’occhio allenato a scoprire dettagli si guarda intorno. Manifesti che inneggiano a Lottomatica, altra invenzione, assai redditizia in tempi di vacche magre, dell’astuzia commerciale di ITA: almeno è in attivo, non occorre tenerlo in vita artificialmente come Alitaglia. Manifesti che inneggiano all’alta velocità, altra impresa di ITA, tutti rossi, oltretutto. Cos’è in fondo questo Stato se non il comunismo realizzato, ovvero la dittatura di oligarchie sempre più ricche e forti a spese di masse sempre più povere, devitalizzate, e private di cultura e coscienza? La sua perfezione è data dal fatto che il suo primo ministro, da 15 anni in qua, ha fatto dell’anticomunismo la propria bandiera ideologica.

Meglio guardare i topi che ballano su soffici tappeti di escrementi sopra i binari; esprimono un’idea più alta di libertà; o volgere lo sguardo al cielo, e vedere il simbolo verde-oro di una catena di hotel privati; o ancora, aspettare che venga fuori dallo schermo la bellona di turno della BREIL, finalmente qualcosa di privato!

In questa sera di mezza estate, in questo incubo di una notte di mezza estate, vedo casualmente consumarsi le ultime briciole di libertà in una stazione desolata.

Tutto ha l’aspetto di una Los Angeles alla Blade Runner, ma più casareccia, con microschermi e pantegane, una saga tutta nostrana della privazione della libertà, dove nel ruolo dei replicanti recitano Alvaro Vitali, Bombolo e Cannavale, una tristezza unica. Non ci sono neanche voci suadenti che ci invitino ad emigrare in una qualche galassia lontana: non solo siete dei poveri vermi, ci ripetono i microschermi LG, ma starete qui per sempre.

Salgo sul treno con un grande senso di liberazione. Vado in bagno, e constato amaramente che qualcuno non solo ha avuto il mio stesso senso di liberazione, ma si è liberato proprio, in modi non del tutto urbani. Ma neanche suburbani! Rido per non piangere, ma non smetto di pensare. C’è forse una regia accorta in tutto questo, dai manifesti di Lottomatica a quelli di Trenitalia, dagli atleti del CONI a tutto il resto.

Solo i topi, sui binari, sembrano sfuggire a questa tetra dittatura. In qualche modo, essi sono ancora liberi.
E si sa, lo hanno studiato scienziati veri, i topi saranno senz’altro in grado di sostituire la loro civiltà alla nostra quando saremo estinti. Hanno complesse gerarchie sociali. Una vita di gruppo strutturata e coerente, un senso piramidale della gerarchie. Avranno anche loro, chissà, in un futuro, le loro veline-topine, i loro calciatori, i loro modelli di successo. Il loro Stato. I topi di Porta Garibaldi un giorno finalmente sfonderanno la loro Porta Pia, e avranno perfino una loro capitale. Chissà però che questo non sia l’inizio della decadenza anche per loro civiltà.

Paolo L. Bernardini

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