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Hafnia felix (Revalia quoque)

di Paolo L. Bernardini

Sono appena ritornato in Tribolandia (ITA, ma ITA è già troppo nobile e troppo poco connotativo, per cui Tribolandia credo sia il nome più consono), da una crociera nel Mare del Nord e nel Mar Baltico. Con l’eccezione della Russia putiniana, e di una fosca San Pietroburgo, città dal destino amaro (centinaia di migliaia di schiavi morirono per costruirla tra fine Seicento e inizio Settecento, quattro milioni di semischiavi vi vegetano oggi, diecine migliaia di disgraziati vi perirono nel lungo inutile assedio tedesco della II guerra mondiale), ho visitato paesi ove la qualità della vita, il sistema statale, e tutto il resto, sono infinitamente superiori a quelli di Tribolandia. Che cosa li accomuna? Il fatto di essere piccoli Stati. Svezia, Finlandia, Danimarca ed Estonia sono stati piccoli: la Svezia, il maggiore, supera di poco gli abitanti della Svizzera (circa 10 milioni), mentre l’Estonia ha circa il doppio degli abitanti del Montenegro (1,3 milioni). Intorno ai cinque milioni di abitanti sono Danimarca e Finlandia, ovvero, per tanti aspetti, potrebbero essere le realtà maggiormente assimilabili alla Venetia libera (soprattutto, per quel che riguarda l’aspetto territoriale, piuttosto la piccola Danimarca che non l’estesa Finlandia). Ora, vorrei dedicare qualche breve riflessione a due di essi, la Danimarca – Hafnia è il nome latino di Copenhagen – e l’Estonia – Revalia è il nome latino di Tallinn – perché si tratta di stati in realtà molto molto differenti per quel che riguarda la struttura e la funzione dello “stato” stesso, e la sua presenza nella vita del cittadino.

L’Estonia.

Sappiamo dalla storia recente (dal 1991), che l’Estonia ha saputo uscire con grande eleganza e incredibile performance dall’economia comunista, ovvero dallo statalismo perfetto. Leggendario ormai Mart Laar, il ministro (uno storico), classe 1960, che è stato uno dei traghettatori, forse il principale, dell’Estonia nel difficile passaggio dalla dittatura sovietica alla democrazia. Bello il libro: Estonia. A Little Country that Could (London, 2002), di cui consiglio vivamente la lettura. Ora, se prendiamo l’Index of Economic Freedom, ci compiacciamo nel vedere che l’Estonia figura molto in alto nella classifica, 16° nel mondo, ma attenzione, solo 7° nell’area geografica. I migliori tendono a raggrupparsi. Ora, possiamo stupire negativamente alla recessione del 3.6% nel 2008, ma sappiamo – dal caso irlandese, ad esempio – che crescite altissime non sono sostenibili oltre un ventennio, o meno. Ma vale la pena di notare che nell’edizione dell’Index del 2004, l’Estonia aveva un GDP pro capite di circa 6,000 USD, nel 2008 sono 20,662!! Stiamo parlando di un paese piccolissimo uscito dalla dittatura sovietica! Tanto di cappello a Laar e ai suoi successori. Ora, stiamo parlando anche di un paese che ha una flat tax del 21%, e dove si discute sulla bontà o meno del programmato ingresso nell’area euro. L’Estonia è un miracolo certo rispetto agli stati baltici, Lettonia e Lituania, dove le politiche liberiste sono state male o tardi o punto applicate. Ma si respira a Revalia una bellissima aria di prosperità.

La Danimarca.

Tappa precedente, Hafnia, la bellissima Copenhagen, un luogo baciato da un bellissimo clima, pieno di neonati biondissimi che sembrano nascere come funghi, con edifici di design spettacolare, e dove vediamo ancorato, subito all’uscita dal porto, il bellissimo yacht “Rising Sun” del fondatore della Oracle (ci consola della mancanza della sirenetta, prestata alla Cina, credo). Insomma, qui non se la passano certamente male.

Ma  — ed è qui che vorrei che i miei lettori fossero particolarmente attenti – non siamo certo in un paese liberista. Siamo nella realizzazione del modello, molto rischioso certo, ma che dà ancora i suoi frutti, della social-democrazia scandinava. Tanto per intenderci, qui la tassazione è progressiva con un marginal rate verso l’alto di oltre il 50%! Il welfare state c’è eccome. Lo Stato c’è eccome. La Danimarca è uno stato piccolo dove lo Stato è tutt’altro che minimo. Però, ed è un però non certo di poco conto, funziona. In interiore homine, le mie simpatie vanno naturalmente più all’Estonia liberista. E tuttavia la Danimarca è la nona economia per l’Index of Economic Freedom. Eppure in due criteri, la libertà fiscale (35.9%, basso score) e la spesa governativa (22.0, pessima performance, 51% del GDP, quasi come Tribolandia), la Danimarca certo non brilla. Eppure, è stellare negli altri.

Insomma, non di sole “flat tax rates” vive la libertà economica.

La conclusione che vorrei trarre dalle pagine che precedono è semplice: la prosperità di uno stato dipende molto dalle sue dimensioni, ma date dimensioni limitate, e se escludiamo casi di malgoverno, corruzione, ecc., o casi estremi di persistenza di regimi comunisti (Cuba, Corea del Nord), è difficile cadere male.

Alla fine si può scegliere una gestione oppure l’altra, anche se lo sviluppo a lungo termine, il destino di un paese, può essere radicalmente diverso se si sceglie il modello estone, o quello danese. Una Venetia libera tuttavia potrebbe essere anche libera di scegliere una strada intermedia. In ogni caso, anche se avessimo la tassazione danese, con grande gioia della sinistra welfarista, sempre meglio alla fine di questa destra affarista, prospereremmo. La Danimarca ha un GDP pro capite del 20% superiore a quello tribolandiano.

Sarà pure in crisi, il welfare state scandinavo, e le basi stesse del suo modello, ma funziona. Riempiono il cuore i tanti neonati. Poco importa alla fine se i congedi di maternità e paternità magari li estendono anche a nonni, fratelli, zii, con una “allowance” anche per i cagnolini. E durano – mi si perdoni il paradosso – fino al compimento del diciottesimo anno di età del pupo.

Tribolandia è un paese di vecchi fortunati, ché hanno ancora la pensione. Quando saremo vecchi noi, sappiamo che non ci sarà più neanche quella. Ci strapperemo l’un l’altro bocconi di pane rancido con i pochi denti rimasti, per sopravvivere.

O forse sarà finita Tribolandia.

Rimbocchiamoci le maniche – finché le braccia sono ancora robuste – e continuiamo a lottare, forti dei recenti successi degli amici sardi e delle Fiandre – per la libertà e la creazione di un piccolo Stato ricco.

La Venetia.

Che poi lo si gestisca alla danese, o alla estone, alla fine e nell’immediato, non sarà così importante.

Paolo L. Bernardini
Presidente emerito
PNV

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