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FESTEGGIAMO 150 ANNI di MAFIA, CAMORRA e ‘NDRANGHETA

150° Mafia

di Fabio Calzavara

Con tale espressione si è soliti indicare l’associazione criminale di stampo terroristico presente in Sicilia dagli inizi del XIX secolo e trasformatasi nella seconda metà del XX secolo in una organizzazione internazionale.

Essa adotta comportamenti basati su un modello di economia statale ma parallela e sotterranea. Denominata anche “Cosa nostra”, trae profitti da numerosi tipi di attività criminali. I capimafia (spesso in latitanza) comunicano principalmente in modo scritto, con i pizzini, poiché non sempre sono in grado di comunicare di persona a tutti i loro sottoposti, i capifamiglia, i picciotti. (1).

La prima volta che compare ufficialmente tale vocabolo, accostato al senso tuttora in uso di organizzazione malavitosa o malavita organizzata, è nel 1865 in un rapporto fatto dal capo procuratore di Palermo, Filippo Antonio Gualterio. Con riferimento allo stesso periodo, wikipedia inglese riporta: “Offshoots of the Mafia emerged in the United States, during the late 19th century, following waves of Italian emigration” (Aspetti di Mafia comparvero negli Stati Uniti, verso la fine del XIX secolo, a seguito delle ondate migratorie italiane)

Secondo Diego Gambetta (2) il vocabolo originario sarebbe stato l’arabo (mahyas = spavalderia, vanto aggressivo) o (marfud = reietto) da cui proverrebbe il termine mafiusu, nel 1853 da Vincenzo Mortillaro nel suo Nuovo dizionario siciliano-italiano alla voce Mafia: “Voce piemontese introdotta nel resto d’Italia ch’equivale a camorra”. (3).

In effetti non mancano teorie in merito all’introduzione del vocabolo nell’Isola ricondotta all’unificazione del “Regno d’Italia” e alla missione segreta di Mazzini in Sicilia avvenuta l’anno prima (1860) dell’Unità d’Italia. (4) Secondo tale ipotesi (ripresa poi dall’economista e sociologo Giuseppe Palomba), «MAFIA» non sarebbe altro che l’acronimo delle parole: «Mazzini Autorizza Furti Incendi Avvelenamenti». Fino a che punto sia fondato questo studio è incerto, rimane però da considerare il significato antropologico non privo di valore riguardo a un’organizzazione segreta a specchi capovolti che sarebbe nata nell’isola con finalità più o meno carbonare. (5)

Infatti è ormai appurato che nel 1860 la Mafia siciliana, in accordo con i Poteri forti massonici inglesi e savoiardi, aiutò Garibaldi nella “liberazione” dell’isola e partecipò alla conseguente spartizione dei posti di potere successivi all’unificazione col Regno d’Italia. Quasi un secolo dopo, nel 1943, facilitò lo sbarco americano nell’isola per battere il regime fascista, da sempre nemico dell’autonomia siciliana e quindi del controllo mafioso del suo territorio. (6)

Mafia, per antonomasia e senza qualificazioni, si riferisce comunque a quella organizzazione che ha avuto origine nell’isola come insieme di piccole associazioni sviluppate in ambito agreste. (7)

Dopo l’annessione al neonato Regno d’Italia tali aggregazioni, rette dalla legge dell’omertà e dalla commistione politica. consolidarono un’immensa potenza in Sicilia e riemersero dopo la seconda guerra mondiale. (8)

“Prima di occuparci della mafia del periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia, dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita, in Sicilia. La mafia nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia(Rocco Chinnici, giudice assassinato il 29.07.1983).

150° Camorra

Presente in Campania da tempo immemorabile, è proprio nel 1860 – durante lo spodestamento di Francesco II di Borbone e l’arrivo a Napoli di Garibaldi – che la Camorra fa il salto di qualità e diventa uno degli innegabili protagonisti delRisorgimentopartenopeo.

Fu infatti l’allora Ministro dell’Interno del Regno d’Italia, il carbonaro mazziniano Liborio Romano, che, per sbarazzarsi dei poliziotti di Napoli – rimasti fedeli alla vecchia monarchia borbonica – decise di sostituirli direttamente con i suoi guappi… Questa storia incredibile ma vera è raccontata da Giuseppe Buttà nel suo “UN VIAGGIO DA BOCCADIFALCO A GAETAmemorie della rivoluzione dal 1860 al 1861” (9).

A questo punto si rende opportuno un ragguaglio su Liborio Romano: Padre Buttà lo definisce a ragione, oltre che mazziniano, anche massone. La prova certa della sua appartenenza è riportata nello studio di Luigi Polo Friz “LA MASSONERIA ITALIANA NEL DECENNIO POSTUNITARIO”Ludovico Frapolli ed. (10).

A pag. 137 del volume troviamo il seguente riferimento: “Nel 1867 morì Liborio, Ministro dell’Interno e della Polizia generale nell’ultimo governo borbonico. Su di lui esiste una non trascurabile letteratura. Amico di due grandi patrioti, Libertini e Stasi, della loggia Mario Pagano, «divise con loro l’amore per i valori liberal-democratici». Il Bollettino dedicò a Romano due pagine.(11) L’Umanitario gli concesse uno spazio assai più modesto, sebbene il necrologio fosse dovuto: nell’agosto del ’66 lo scomparso era stato nominato «Presidente interino della Sezione Concistoriale all’Oriente di Napoli» ed aveva ringraziato con entusiasmo sia Dominici che Bozzoni”.L’edizione utilizzata dell’opera di Buttà è quella Bompiani del 1985, prefata da Leonardo Sciascia (il brano in questione si trova alle pagine 117-122).

Ecco cosa scrive lo storico siciliano: “In Napoli è la setta così chiamata de’ camorristi; e per quelli che non la conoscono è necessario che ne abbiano un’idea; imperocché di questa setta se ne servirono i liberali per far popolo, rumore, dimostrazioni e detronizzare Re Francesco II di Borbone.

La setta de’ camorristi è molto antica in Napoli; ma alcuni sostengono che sia comparsa con la dominazione spagnuola. Difatti l’origine del nome Camorrista è da Camorra, che in ispagnuolo vuol dire querela. Altri poi dicono che Camorrista viene da Morra ch’è un giuoco ove si commettono soprusi e giunterie. Ed invero i camorristi traggono de’ guadagni sopra i giuochi leciti ed illeciti. Camorrista in Napoli suona ladro, giuntatore, galeotto, accoltellatore, usuraio guappo o sia spacconaccio. La gente onesta teme i camorristi, non li accusa alle autorità, e per lo più si sottomette alle loro giunterie, per non essere accoltellata da coloro che restano in libertà.(…)

Tutte le dominazioni, che si sono succedute, hanno accusate le precedenti, perché non hanno distrutto la setta dei camorristi, e poi esse medesime han finito per tollerarla, e qualche volta se l’han fatta alleata.

Proclamata la Costituzione, il Ministero liberale fece Prefetto di Polizia Don Liborio Romano, nativo delle Puglie. Era costui un avvocatuccio infelice, o come suol dirsi, avvocato storcileggi: fu carbonaro, massone, mazziniano, e nel 1850 fu messo in carcere, ed in ultimo esiliato. Il 22 aprile del 1854, Don Liborio mandò da Parigi, ove si trovava allora, un’umile supplica al Re Ferdinando II, nella quale protestava: «Devozione e attaccamento alla sacra persona del Re: e se mai l’avesse offesa inconsapevolmente, prometteva in avvenire una condotta irreprensibile ». Re Ferdinando lo fece tornare nel Regno.

D. Liborio Romano, divenuto prefetto di polizia liberale, si circondò di tutta la Camorra napoletana, ed altra ne fece venire poi dal Regno, e dal resto d’Italia. Di alcuni di quei camorristi non so che novelli poliziotti ne abbia fatto; ad altri diede l’onorevole mandato di far la spia alla gente onesta, designata sotto il nome di borbonica, altri infine, ed erano i più facinorosi, destinò a soffiare nel fuoco della rivoluzione, in mezzo al popolaccio napoletano. Le prime prodezze dei camorristi – sempre diretti da D. Liborio, prefetto di polizia – furono gli assalti dati agli ufficii della vecchia polizia, essendo stata questa troppo curiosa di conoscere i fatti della gente poco onesta, e come intorbidatrice della pace de’ camorristi e de’ settari.

A dì 27 e 28 giugno, dopo tre giorni che si era proclamata la Costituzione, vi furono due assembramenti di camorristi, di lenoni, di monelli e di cattive donne, tra le altre la De Crescenzo e la celebre ostessa detta la Sangiovannara: tutti pieni di fasce e nastri tricolori, con pistole e coltelli, gridavano libertà ed indipendenza, a chi non gridasse in quel modo parolacce e busse.

Il 27 assalirono i due Commissariati di polizia, quello dell’Avvocata e l’altro di Montecalvario. Un certo Mele, capo di quelle masnade, che giravano in armi in cerca della vecchia polizia, ferì a Toledo l’ispettore Perrelli. Costui fu messo in una carrozzella per essere condotto all’ospedale: potea vivere, ma il Mele lo finì nella stessa carrozzella a colpi di pugnale. In compenso di quella prodezza, il Mele fu ispettore di polizia sotto la Dittatura di Garibaldi. Giustizia di Dio…! L’anno appresso il Mele fu accoltellato da un certo Reale, altrimenti detto bello guaglione; svenne, fu messo pure in carrozzella, ma prima di giungere all’ospedale morì.

Il prefetto Don Liborio, vedendo che tutto potea osare impunemente, il 28 riunì un grande assembramento di que’ suoi accoliti, e loro impose di assaltare gli altri Commissariati della vecchia polizia.

Le scene ributtanti e i baccanali di questa seconda giornata oltrepassarono di gran lunga quelli operati nella precedente. Quella accozzaglia assalì i Commissariati al grido di muora la polizia! Viva Carlibardi! – così alteravasene il nome dalla plebaglia – La truppa, che tutto vedeva e sentiva, fremea di rabbia, ed era obbligata da’ suoi duci a starsene spettatrice indifferente.

Gli assalitori de’ Commissariati gittarono da’ balconi tutte le carte, il mobilio, le porte interne, e ne fecero un falò in mezzo alla strada. Un povero poliziotto del Commissariato di S. Lorenzo si era occultato in un credenzone, e così, com’era, fu gittato da un balcone in mezzo alla strada. Intorno a quel falò si ballava, si bestemmiava, si cantavano canzoni le più oscene.

Il solo Commissariato della Stella non fu invaso e distrutto per quella giornata, perché i vecchi poliziotti di guardia si atteggiarono a risoluta difesa, e tennero lontani i camorristi e compagnia bella. Ma que’ difensori del Commissariato, vedendo che il Governo volea la loro distruzione, la sera abbandonarono il posto, che fu l’ultimo a essere distrutto.

Dopo che i camorristi fecero quelle prodezze, andavano attorno con piatti nelle mani a domandare l’obolo per la buona opera che avevano fatta. E i liberali, trovarono giustissimo quanto aveano operato i camorristi; poiché secondo la loro logica, la Costituzione proclamata importava uccidere i cittadini, che aveano servito l’ordine pubblico ed il Re.

Sarebbero state sufficienti queste prime scene inqualificabili, perpetrate da’ camorristi, capitanati da D. Liborio, prefetto di polizia liberale, per far conoscere anche agli sciocchi, e principalmente a chi potea e dovea salvare la Dinastia e il Regno, che la proclamata Costituzione serviva come mezzo sicurissimo per abbattere Re e trono. Ma si proseguì sulla medesima via de’ cominciati disordini, i quali si accrescevano giorno per giorno, ora per ora con selvaggia energia, ed a nulla si dava riparo. Ciò dimostra la tristizia e l’infamia degli uomini che allora aveano afferrato il potere, e la dabbenaggine di coloro che si dicevano, ed erano realmente, pel Re e per l’autonomia del Regno. (…)

Il ministro della guerra, Leopoldo del Re, devoto e fedele al Sovrano, in vista dell’anarchia sempre crescente a causa de’ camorristi, diretti e sostenuti da D. Liborio, prefetto di polizia liberale, tolse dal comando della Piazza il generale Polizzy, il quale non avea fatto impedire da’ soldati quei baccanali e quegli eccessi perpetrati da’ camorristi, e dal resto della brunzaglia napoletana. In cambio nominò il duca S. Vito, il quale proclamò lo stato d’assedio. Si proibì ogni assembramento maggiore di dieci persone, e la esportazione d’armi e di grossi bastoni. S. Vito uomo risoluto, a norma dell’Ordinanze di Piazza, volea procedere al disarmo.

D. Liborio però si oppose energicamente, conciosiaché disarmando i camorristi, egli, prefetto di polizia liberale, rimaneva senza armata e senza prestigio; e, sostenuto come era dalla setta e dai traditori che circondavano il Re, la vinse; ed i camorristi rimasero padroni di Napoli, cioè erano essi la sola autorità dominante.

Non contento ancora di avere a sé i camorristi, D.Liborio volle pure che i medesimi fossero riconosciuti e pagati dal Governo; di fatti ottenne un decreto, in data del 7 luglio, col quale si aboliva l’antica polizia, e se ne creava una nuova di camorristi, con nuove uniforme e nuovi principii, già s’intende.

Fu uno spettacolo buffonesco quando si videro in Napoli i camorristi dalla giacca di velluto, vestiti da birri, o sia da guardie di pubblica sicurezza, e i loro caporioni da Ispettori. Quei custodi dell’ordine pubblico faceano paura agli stessi liberali, e molti di costoro si dolsero con D. Liborio; il quale rispose di aver fatto benissimo; dappoiché i camorristi doveano essere compensati e protetti a preferenza, per grande ragione de’ servizii che aveano resi, e di quelli che doveano rendere ancora: diversamente, si sarebbero messi dal lato dei reazionari. Disse pure, ch’egli si augurava di fare di loro tanti onesti impiegati governativi; essi, che fino allora erano stati negletti e perseguitati (!); e che era suo divisamento cavare l’ordine dal disordine. (12) – Queste massime antipolitiche e antisociali, specialmente pel modo come l’applicava D. Liborio, erano imitate dallo stesso Ministero negli altri rami amministrativi, cacciando via gli impiegati antichi ed onesti, e surrogandoli con gente o ignorante, o dubbia o disonesta”.

150° ‘Ndrangheta

ll termine (dal greco andragathía, “virilità”, “coraggio”) indica il fenomeno criminale della mafia di origine calabrese; indica anche l’insieme dei gruppi (detti “cosche”) che la costituiscono. La struttura della ‘ndrangheta è analoga a quella della mafia siciliana e della camorra campana

“La sua nascita avviene sotto forma di società segreta e non è dubbio che il modello di società segreta più vicino, più simile, più aderente alla realtà, ai valori, alle esigenze della delinquenza organizzata, fosse rappresentato dalla massoneria e dalle società segrete che fiorirono nella prima metà dell’Ottocento, importate in Calabria dai francesi dal massone Gioacchino Murat, con programmi anticlericali, giacobini e pre- risorgimentali”.

A riprova di questo, le figure di riferimento a cui la ‘Ndrangheta si richiamava erano Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini e Giuseppe La Marmora, tutti cospiratori massoni. (13).

Dunque la ‘Ndrangheta, chiamata anche “la Santa”, si afferma nella seconda metà dell’Ottocento. Uno dei documenti più interessanti di quel periodo è una denuncia anonima inviata nel 1888 al prefetto di Reggio Calabria, Francesco Paternostro, che rivela l’esistenza a Latrinoli, uno dei tre borghi che poi dettero vita a Taurianova, di una “setta che nulla teme”.

La relazione conclusiva della Commissione Parlamentare Antimafia del  Febbraio 2008 afferma che la ‘ndrangheta «ha una struttura tentacolare priva di direzione strategica ma caratterizzata da una sorta di intelligenza organica», e la paragona alla struttura di Al Quaeda. (14)

La ‘Ndrangheta è oggi una delle organizzazioni criminali più potenti e viene considerata la più pericolosa. Non priva di rapporti con uomini politici e servizi segreti deviati, è meno esposta, rispetto a Cosa Nostra, alle infiltrazioni esterne ed al fenomeno del pentitismo, ed ha ramificazioni in tutto il Mondo. (15)

Conclusioni

Questo sintetico ma significativo excursus storico sulla genesi delle tre principali organizzazioni malavitose “italiane” rende esplicite le ragioni della loro costante virulenza, della continuità della loro espansione, della sostanziale invulnerabilità e sopravvivenza dentro le istituzioni dello Stato,sia nel periodo monarchico che in quello fascista e repubblicano: esse sono state parte integrante della sua creazione e le loro radici occulte sono sempre servite ad alimentare i poteri oscuri ed il malaffare che ancor oggi dominano la scena politica ed economica italiana, a discapito degli onesti Cittadini.

Rappresentano un motivo in più per cambiare urgentemente Stato e liberarci dai suoi tentacoli per sempre.

Fabio Calzavara

  1. G. Pitrè, Usi e costumi credenze e pregiudizi del popolo siciliano, Palermo 1889;
  2. Diego Gambetta, The Sicilian Mafia;
  3. Vincenzo Mortillaro, Nuovo dizionario siciliano-italiano, Tipografia del Giornale letterario, Palermo 1853;
  4. Charles W. Heckethorn, Secret Societies of All Ages and Countries, London, G. Redway, 1897;
  5. Sociologia dello sviluppo – L’unificazione del Regno d’Italia, G. Palomba, Giannini, Napoli, 1962, pp. 203-204;
  6. Santi Correnti, Breve storia della Sicilia;
  7. Pasquale Natella, La parola “Mafia”, Firenze, Leo S. Olschki Ed., 2002 (Biblioteca dell’”Archivium Romanicum”, Ser. 2, Linguistica, 53);
  8. Dizionario enciclopedico italiano, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma;
  9. http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Butt%C3%A0

10.  Franco Angeli, Milano, 1998;

11.  Si tratta del Bollettino massonico;

12.  Si ricordi al riguardo il celeberrimo motto massonico “ORDO AB CHAO”;

13.  Relazione Commissione parlamentare sulla Ndrangheta del 19 Febbraio 2008, approvata all’unanimita’ sia dalla Camera che dal Senato;

14.  XIII Legislatura, Commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia, Doc. n. 42, 2000;

15.  Comunicato stampa del Capo della Polizia, Antonio Manganelli,14 Gennaio 2010.

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