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Abrogata l’annessione del Veneto! O no?

tólto da DOVENETO.org

de Alessandro Mocellin

(la più comoda versione PAPER stampabile, è liberamente scaricabile cliccando qui)

Abrogata l’annessione del Veneto! O no? (articolo dell’8 febbraio)
Oggi è l’8 febbraio 2011 (8 febbraio 2010 more veneto). Il Corriere del Veneto dà la dirompente notizia che il semplificone Calderoli nell’ambito della decretazione “ammazzanorme” (ricordate il farsesco falò delle inutilità legislative di qualche tempo fa?) ha abrogato anche il Regio Decreto n. 3300 del 4 novembre del 1866, “col quale fu dichiarato che le Provincie della Venezia e di Mantova fanno parte integrante del Regno d’Italia”, secondo la rubrica (lo riproduciamo in fondo).
Subito festanti e giubilanti si mostrano in molti, e la ragione stessa fatica a trattenere lo spirito.
Ma forse ciò accade invano. A parte che non è certo il dato legislativo a fare la liberazione di un Popolo (semmai esso sancisce in diritto un dato di fatto), si deve ricordare che il destino del Regio Decreto è stato di venir convertito successivamente in legge. E’ pertanto tale legge ad essere il titolo giuridico effettivo che sancisce “che le Provincie della Venezia e di Mantova fanno parte integrante del Regno d’Italia”.
Tale Legge di conversione del suddetto Regio Decreto è la legge n.3841 del 18 luglio 1867: “Legge colla quale è data forza di Legge al Regio Decreto 4 novembre 1866, col quale fu dichiarato che le Provincie della Venezia e di Mantova fanno parte integrante del Regno d’Italia”. Ma, sorpresa, anche essa rientra nel novero delle norme abrogate! Dunque, pare proprio che il quadro sia completo, e che le fonti legislative fresche di approvazione abbiano fatto piazza pulita dei sostegni legali dell’unità del Veneto all’Italia (o meglio, dei ceppi legali con cui il Veneto è soggiogato all’Italia).
L’Italia, conclamata, osannata ed incensata culla del Diritto, quando si è fatta Stato è diventata la tomba della Giustizia e della Libertà, che dal Diritto dovrebbero essere garantite, non frustrate e seviziate a morte.
Forse anche in questo caso il sadismo costitutivo dell’Italia ci spinge ad esultare prima del tempo, in quanto occorre verificare la fonte legislativa che ha compiuto tali abrogazioni. Si tratta del Decreto Legislativo n. 212 del 13 dicembre 2010, dunque di una fonte stabile, che per essere abrogata altrettanto stabilmente costringerà il Parlamento a pronunciarsi sul caso, che forse sarà finalmente il primo passo per riaccendere il dibattito sulla “Questione Veneta”, nata come questione internazionale già nel 1797, riaperta nel 1815, nel 1848, nel 1866, nella prima guerra mondiale, nella seconda guerra mondiale, nel 1997 e, provvidenzialmente, lo deve essere anche nel 2011.
Ma si sa, secondo un trito proverbio, che “chi di spada ferisce, di spada perisce”. Speriamo tuttavia che i Veneti, e con essi gli altri Popoli Storici dell’area italica, sappiano mostrare la loro magnanimità. Pur feriti da spada, sappiano liberarsi invece con la forza dirompente delle idee.
E sia festa, dunque. Ché qualunque cosa succeda e qualunque sia il valore “nel mondo giuridico” di tale esempio di guazzabuglio normativo italiano (che chiameremo “lo strano caso legislativo del dì di Santa Lucia”), e qualunque sia il metodo (legale o meno) con cui il governo ed il parlamento italiani ovvieranno a questa loro deficienza latu sensu, questo giorno resterà negli annali della Storia Veneta, e non solo perché ricorre l’anniversario dell’insurrezione studentesca dell’8 febbraio 1848 a Padova.

Abrogata l’annessione del Veneto! O no? (aggiornamento del 10 febbraio)

A seguito del caso creatosi sull’abrogazione del RD 3300/1866 concernente l’annessione del Veneto all’Italia sul “Corriere del Veneto”, che ha il merito di aver “scoperto” la vicenda, è apparso ieri un articolo, sempre sul CdV, di Alessio Antonini dal titolo “Il ministero: «Annessione abrogata? Unità garantita dalla Costituzione»”1.

All’interno gli spunti giuridici non sono molti (in verità è solo uno) in quanto si è preminentemente dato spazio all’aspetto politico più che giuridico, ma è il caso di analizzarli come già fatto “a fresco” martedì 8 febbraio all’uscita del primo articolo sul “caso abrogazione”, quando si è reso necessario il puntualizzare alcuni riferimenti giuridici fondamentali.

Con questo nuovo articolo ci perviene quella che possiamo chiamare una “interpretazione autentica” fatta proprio dagli autori del decreto legislativo (nonché responsabili delle compilazioni dell’elenco di abrogazioni; parliamo dunque del Ministro -responsabile politico- e del Direttore Generale -responsabile tecnico- del “Ministero per la Semplificazione Normativa”). Inoltre, già nell’edizione di martedì 8, era presente un altro articolo (l’editoriale, a firma di Ivone Cacciavillani), intitolato “Siamo tutti francesi”2. Insomma, ora che possiamo ampliare il quadro dell’analisi, si è reso necessario l’aggiornamento che state leggendo.

Partirei preferibilmente dall’articolo di Cacciavillani.

Nel suo editoriale, considera la questione abrogazione essere “formalmente sterile”, in quanto “la legge «sull’unificazione legislativa delle province venete e di Mantova » del 26 marzo 1871 n. 129” […] ha esteso a Veneto e Mantova molte leggi del Regno”. Dunque, secondo Cacciavillani, “sul piano giuridico ovviamente nessuna conseguenza”, in quanto, lo si evince dalla costruzione della frase, sul piano normativo la colonna portante dell’annessione del Veneto all’Italia sarebbe (secondo Cacciavillani) la legge 129/1871. Sentiamo le parole della legge, all’art. 1: «Sono estesi alle provincie della Venezia e di Mantova, aggregate al regno d’Italia colla legge del 18 luglio 1867, n. 3841: [segue serie di estensioni legislative]”. Pertanto, poiché richiama l’antecedente legge 3841/1867 per basarsi su di essa, allora la legge 129/1871 citata da Cacciavillani non è il pilastro di vigenza del dominio italiano in Veneto.

Si potrebbe obiettare che però anche la legge 3841/1867 (che io asserisco essere la colonna portante) richiama il precedente RD3300/1866. Tuttavia, si ricordi che la tale legge 3841 è una legge di conversione del Regio Decreto, e dunque è atta a sostituirlo, ponendolo nel nulla, tant’è che è lo stesso Regio Decreto che all’art.3 recita: “Il presente Decreto sarà presentato al Parlamento per essere convertito in Legge”. Invece, la legge 129/1871 richiama sì la legge 3841/1867, ma non ha assolutamente la pretesa di sostituirla, ed anzi la richiama per evocarla come base, come titolo di giustificazione di ciò che sta per sancire. Insomma, il rapporto tra il RD3300/1866 e la legge 3841/1867 è tra un atto provvisorio ed un atto stabile; invece il rapporto tra la legge 3841/1867 e la legge 129/1871 è la relazione tra premessa e conseguenza o, per meglio dire, tra titolo per disporre e atto di disposizione. Poiché la legge 3841/1867 che costituisce il titolo nell’ordinamento per la proprietà del Veneto (passatemi la terminologia civilistica) è stata abrogata, successivi atti miranti a disporre di tale proprietà per amministrarla o goderne i frutti, non sono degli atti di disposizione di proprie sostanze, ma mere pretese su sostanze altrui.

Approfitto anche dell’occasione per togliermi una soddisfazione: l’articolo di legge del 1871 citato dimostra ulteriormente che, in realtà, il casus iuris dell’abrogazione del 2010 non cade sul Regio Decreto 3300/1866, ma sulla legge di conversione, cioè la legge 3841/1867, come avevo puntualizzato (non banalmente, dunque) nell’articolo embrionale dell’8 febbraio.

Ma tornando al punto, l’obiezione di fondo di Cacciavillani (se ho ben capito) è che il fatto di “estendere la legislazione” ad un territorio annesso o conquistato, sia in realtà il vero momento di impossessamento del territorio stesso (secondo un principio internazionalistico di effettività).

Stante la legittima perplessità di chi si pone giustamente questa domanda, tento l’argomentazione comparativa: SE è vero che l’atto (cioè la pretesa) di estendere la legislazione ad un altro territorio costituisce il vero titolo di vigenza del dominio su quel territorio, ALLORA l’intero “affaire 1866” è completamente da rivedere.

No, questo non è un tentativo di sfuggita dal piano giuridico saltando al piano storico, bensì si tratta di esprimere la necessità di vedere la “Questione Veneto 1866” come una vicenda unitaria.

Si è sempre saputo che nel 1866 ci sono stati degli episodi “strani”, quali entrata di truppe italiane prima del plebiscito, la scelta dei rappresentanti veneti operata dal governo italiano (un pò come il lupo che decide a che agnello far firmare la macellazione del gregge), la non cura del promesso ruolo di garante internazionale della Francia, ed altre amenità all’italiana.

Ma a sorpresa è la stessa elencazione delle leggi e dei decreti regi abrogati col decreto legislativo del 13 dicembre 2010 che ci aiuta a capire quanto il Regno d’Italia avesse preteso di estendere la propria giurisdizione anche su territori ancora largamente non nella sua sfera di dominio!

E’ necessario premettere alcune date significative per comprendere meglio la cronologia ed il senso di questo necessario inserto storico nel ragionamento giuridico:

1. l’armistizio tra Italia e Austria viene siglato a Cormons il 12 agosto 1866;

2. la pace di Vienna (che conclude la guerra persa all’Italia, perdendo a Custoza il 24 giugno e a Lissa il 20 luglio) tra Italia e Austria è siglata il 3 ottobre 1866;

3. il Plebiscito per l’annessione del Veneto (previsto nel trattato internazionale di Vienna) si è tenuto il 21-22 ottobre 1866;

4. il Regio Decreto 3300 (del governo italiano) che sancisce l’annessione è del 4 novembre 1866.

Ebbene, lo Stato Italiano ha decretato antecedentemente al 4 novembre ben 75 “regi decreti”, di cui: 46 fino al 3 ottobre; altri 26 dal 3 ottobre al 20 ottobre; altri 3 tra il 20 ottobre ed il 4 novembre (la lista completa di questi 75 decreti interessanti il Veneto che ho selezionato dall’allegato all’“ammazzanorme calderoliano” è disponibile cliccando qui, assicuro che vale la pena di leggerseli tutti).

Ecco solo qualche chicca:

REGIO DECRETO – 3064 – 18/07/1866

COL QUALE SONO DELEGATI COMMISSARII REGII INVESTITI DI POTERI SPECIALI PER REGGERE TEMPORANEAMENTE LE PROVINCIE FINORA SOGGETTE ALLA OCCUPAZIONE AUSTRIACA (commento: la guerra scoppia il 20 luglio e due giorni prima hanno già disposto i poteri che avranno i commissari regi! Seguono alcune nomine di commissari)

REGIO DECRETO – 3065 – 19/07/1866

CON CUI SONO PUBBLICATI ED AVRANNO FORZA DI LEGGE NELLE PROVINCIE VENETE LA LEGGE 21 APRILE 1861 SULLA INTITOLAZIONE DEGLI ATTI DEL GOVERNO, E L’ART. 1 DELLE DISPOSIZIONI SULLA PUBBLICAZIONE,

INTERPRETAZIONE ED APPLICAZIONE DELLE LEGGI IN GENERALE (commento: questa è grossa, perché prevede che “Tutti gli atti che devono essere intitolati in nome del Re, lo saranno colla formola seguente: «(Il Nome del Re) – Per Grazia di Dio e per Volontà della Nazione – Re d’Italia»

REGIO DECRETO – 3066 – 19/07/1866

CONTENENTE DISPOSIZIONI CIRCA L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA, E CIRCA GLI AFFARI RELATIVI ALL’AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA NELLE PROVINCIE VENETE LIBERATE DALLA OCCUPAZIONE AUSTRIACA (commento: qui si va oltre il dato di un semplice diritto temporaneo in tempo di guerra)

REGIO DECRETO – 3088 – 28/07/1866

CHE MANDA PUBBLICARE NELLE PROVINCIE ITALIANE LIBERATE DALLA DOMINAZIONE AUSTRIACA LO STATUTO DEL REGNO DEL 4 MARZO 1848 (commento: qui il tentativo di estendere la “Costituzione” del Regno d’Italia -cioè lo Statuto Albertino- anche al Veneto si mescola con la propaganda)

REGIO DECRETO – 3089 – 28/07/1866

COL QUALE CESSANO DI AVERE EFFETTO NELLE PROVINCIE ITALIANE LIBERATE DALLA DOMINAZIONE AUSTRIACA LE PATENTI IMPERIALI 5 NOVEMBRE 1855 E 8 OTTOBRE 1856 RELATIVE AL CONCORDATO STIPULATO DALL’AUSTRIA CON LA SANTA SEDE

REGIO DECRETO – 3130 – 01/08/1866

CHE MANDA PUBBLICARE NELLE PROVINCIE ITALIANE LIBERATE DALLA OCCUPAZIONE AUSTRIACA LE DISPOSIZIONI RELATIVE ALLA ELEZIONE E COSTITUZIONE DEI CONSIGLI E DELLE AUTORITA’ COMUNALI

REGIO DECRETO – 3135 – 01/08/1866

CHE STABILISCE CHE NELLE PROVINCIE ITALIANE LIBERATE DALLA DOMINAZIONE AUSTRIACA LA ETA’ MINORE CESSA COLL’ANNO VIGESIMO PRIMO COMPIUTO

REGIO DECRETO – 3138 – 01/08/1866

COL QUALE LA VIGILANZA ED ISPEZIONE DELLA ISTRUZIONE PRIMARIA NELLE PROVINCIE VENETE E’ AFFIDATA A DIRETTORI SCOLASTICI PROVINCIALI, E A DIRETTORI SCOLASTICI DISTRETTUALI (commento: concludiamo osservando che questi ultimi 4 testi legislativi non trattano certo di disposizioni di diritto bellico. In tale tempo la pretesa è già arrivata all’avere il controllo politico e civile della società veneta, non solo controllo militare del territorio).

Come si sarà capito, delle due l’una: SE si dice che importa di più l’estensione legislativa che la formale dicitura di annessione, ALLORA l’Italia ha violato le norme internazionali nel 1866 avanzando pretese legislative e giurisdizionali su territori non italiani, ma nemmeno liberati o in anarchia, in quanto la guerra non era conclusa, e l’Italia aveva semmai invaso impunemente territori dell’Impero Asburgico (con l’intenzione di chiedere la clausola uti possidetis, secondo il commissario italiano del 1866 Thaon di Revel, clausola poi abbandonata). SE INVECE si riconosce di fronte a questo scempio storico-politico-giuridico che l’estensione legislativa non può valere da essa sola come pilastro di vigenza di un potere su un territorio, ALLORA decade la teoria di Cacciavillani.

Passiamo ora ad analizzare invece l’articolo sulle intenzioni espresse dal Ministero. Innanzitutto, occorre chiedersi quale sia il valore delle suddette esternazioni da fonte ministeriale.

Valore giuridico, sicuramente no; e qualora fosse ravvisato (in sede giurisdizionale), sarebbe unicamente come “opinione persuasiva”, non certo come “autorità vincolante”. Una eventuale “interpretazione autentica” in senso proprio, dovrebbe avere la forma perlomento del decreto ministeriale o, chessò, di una circolare interpretativa. Insomma, un dato giuridico di tenore legislativo non può avere come sua testimonianza e fonte una pagina di giornale, per quanto autorevole.

In ogni caso, ciò che c’è di giuridico tra le asserzioni degli interpellati (tra i quali anche un ex presidente della Corte Costituzionale, Valerio Onida), va analizzato come possibile quadro di riferimento, dopo di che va sostenuto oppure confutato.

Partiamo col primo riferimento: «Il Regio Decreto 3300 del 4 novembre 1866 non è stato abrogato per errore -spiega [il direttore generale del Ministero]- è stato abrogato perché superato dalla Costituzione che all’articolo 131 costituisce tutte le Regioni d’Italia, Veneto compreso». Saltando per un attimo all’altro dato giuridico interessante di questo articolo, cioè l’opinione autorevole di Valerio Onida, non posso che essere d’accordo nel dire (come aveva comunque saggiamente rilevato en passant anche Cacciavillani) che SE il Ministro era conscio -come ha detto- che in realtà la norma portante era l’articolo 131 della Costituzione, l’abrogazione del RD3300/1866 e della legge3841/1867 risulta essere una inutile pratica tecnica di abrogazione di norme comunque private di efficacia dal sopravvenire di altra fonte normativa successiva o superiore (una “abrogazione tacita”, in questo caso per criterio sia cronologico che gerarchico, essendo la Costituzione italiana sia di età posteriore al 1867 che di rango superiore alla legge ordinaria). Insomma una abrogazione giuridicamente utile come l’abolizione nel 2010 del crimine di stregoneria.

Ma tutto questo è vero solo SE la Costituzione italiana è effettivamente un testo legislativo che possa sancire l’annessione della Venezia e di Mantova all’Italia. Vediamo ora perché ciò non pare plausibile.

Il dirigente generale del Ministero sopraccitato, ha usato una terminologia accortissima. E’ scritto in Costituzione infatti: “Art. 131 – Sono costituite le seguenti Regioni: [segue elenco]”. I termini fondamentali da analizzare sono: “Regioni” e “costituite”.

Le Regioni sono degli Enti Locali dell’amministrazione dello Stato italiano. La loro estensione e la loro natura non sono ancorate a dei riferimenti territoriali o valori storici, e dunque dichiaratamente non possono essere recettivi -per il solo nome che portano- di una vicenda successoria travagliata e di valore internazionale come quella della Venezia. Inoltre, i territori acquisiti secondo la sanzione del RD3300/1866 sono andati poi divisi in 3 diverse Regioni (Mantova alla Lombardia, Udine3 al Friuli-VeneziaGiulia, il resto è la regione Veneto), quindi l’art. 131 Cost. è una pura ripartizione amministrativa che nulla dice sulla spettanza o meno dell’amministrazione. Non è adatto ad affermare ciò che spetta, ma solo a ripartire lo spettante; inoltre, non dice nemmeno “con che titolo e a che titolo” spetterebbe.

C’è un’altra domanda da porsi, poi, sempre in chiave comparativa: il Lazio con Roma annesso nel 1870 è stato annesso con decreto? O semplicemente inglobato con la forza?

Da quanto risulta dalla “Collezione delle leggi ed atti del governo del regno d’Italia”, il Plebiscito del 2 ottobre 1870 tenuto nel Lazio è stato riconosciuto e l’annessione sancita nel Regno d’Italia con Regio Decreto 5903/1870.

Ciò avvalora l’ipotesi (spiegata più sotto) del “decreto” bivalente: come fonte di riconoscimento del risultato del Plebiscito nonché di sanzione (cioè affermazione solenne) dell’annessione effettiva (e a quel punto volontaria) dei territori in oggetto.

La domanda che sorge spontanea è questa: perché con il d.lgs. 212/2010 è stato abrogato il RD3300/1866 di annessione del Veneto e non quello 5903/1870 di annessione del Lazio? Probabilmente perché se all’articolo 1 dice “Roma e le province romane fanno parte integrante del Regno d’Italia” (con formula del tutto comparabile a quella veneta), tuttavia agli articoli seguenti (art. 2 e 3) si menzionano la dignità, l’inviolabilità, l’indipendenza e i privilegi personali del Sommo Pontefice, oltre che il libero esercizio della Autorità spirituale della Santa Sede. Dunque forse un motivo politico per non abrogare l’intero decreto del 1870 sulla Presa di Roma. Tuttavia, a rigor di logica giuridica, poiché è stato stipulato dall’Italia un Concordato posteriore con gli eredi legittimi del potere della Santa Sede, sarà esso ad essere il titolo del rapporto vigente tra Italia e Vaticano, questi articoli 2 e 3 sono già stati abrogati implicitamente dal Concordato stesso. Tuttavia è già la legge di conversione, la 6165 del 31 dicembre 1870, a specificare che gli art. 2 e 3 del RD 5903/1870 saranno regolati con apposita (ulteriore) legge.nTuttavia, da una analisi delle legislazioni ammazzanorme anteriori a quella del 13 dicembre 2010, risulta che la legge 6165 del 31 dicembre 1870 è stata abrogata nella decretazione ammazzanorme del dicembre 2008. Non è stato però contemporaneamente abrogato il RD 5903/1870.

Dunque, a tutti gli effetti, SE andava abolito il RD3300/1866 sul Veneto, con la stessa ratio andava abrogato anche il RD5903/1870 sul Lazio e Roma.

Anzi, c’è da dire ancora una cosa, che è forse la più pregna di significato: il RD3300 e la legge 3841 sono fonti la cui presenza è giustificata dal profilo internazionale della Questione Veneta. Infatti, il Veneto non è stato invaso e annesso sic et simpliciter, ma è stato ceduto dall’Austria all’Italia con un trattato internazionale, con garanzia della Francia, e con la clausola “sotto riserva del consenso delle popolazioni debitamente consultate”. Carta canta.

Avviandoci alla conclusione di questo viaggio giuridico-storico-politico, approntiamo una specie di cristallizzazione della situazione attuale, secondo le risultanze della presente analisi giuridica.

Il titolo di vigenza del dominio italiano sulla Venezia è la Pace di Vienna del 3 ottobre 1866, la quale dispone il passaggio del Veneto all’Italia, subordinandolo però esplicitamente al “consenso delle popolazioni debitamente consultate”, dunque al Plebiscito, il cui risultato è stato formalizzato dal Re d’Italia Vittorio Emanuele II tramite la decretazione regia n. 3300/1866, poi convertita.

Fatta l’abrogazione, quindi, del Plebiscito del 1866 l’Italia non ha mai saputo il risultato, in quanto il RD del 4 novembre 1866 (quello abrogato) aveva appunto il significato di sancire che il Plebiscito era avvenuto, ed era avvenuto con successo per l’annessione all’Italia. L’Italia, dunque, ora non sa se il Veneto è in Italia o meno. Mi viene quasi da proporre una probatio diabolica: se l’Italia ha “le prove” le tiri fuori. E le prove sono (tutti) gli scatoloni-urna con dentro le schede elettorali del Plebiscito del 1866: si proceda ad una serena riconta.

Qualora ciò si manifesti impossibile, essendo abrogato il Regio Decreto (e pure la sua legge di conversione) che certifica l’avvenuto Plebiscito ed il suo risultato favorevole all’annessione, poiché il dominio legittimo sulla Venezia all’atto del trasferimento dall’Austria all’Italia (per il tramite beffardo della Francia) è subordinato alla celebrazione di un libero Plebiscito, e se inoltre non v’è prova del suo regolare svolgimento, né del suo esito esatto, allora occorre rifare il Plebiscito del 1866.

E se poi è vero, come riporta il commissario italiano Thaon di Revel (in “La Cessione del Veneto”, Editoria Universitaria, Venezia 2002), che ad inizio agosto 1866 lo stesso Napoleone III aveva scritto a Vittorio Emanuele “Padrone del suo destino, il Veneto potrà quanto prima col suffragio universale esprimere la sua volontà”, che Leboeuf (il commissario francese) disse formalmente il 19 ottobre 1866 durante il passaggio del Veneto all’Italia (2 giorni prima dell’inizio del Plebiscito), dunque alla presenza ufficiale del commissario austriaco e di quello italiano “A nome di Sua Maestà l’Imperatore dei Francesi […] dichiariamo di rimettere la Venezia a sé stessa affinché le popolazioni padrone, del loro destino, possano esprimere liberamente, con suffragio universale, il loro volere riguardo l’annessione della Venezia al Regno d’Italia4, forse l’intera Storia del 1866 è davvero da riscrivere.

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