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UGO FOSCOLO, poeta veneto, non italiano.

Di Gualpertino da Coderta

Tra i commenti pubblicati a suo tempo sul Corriere del Veneto, a proposito dello studente vicentino Serafini, inutilmente accusato, con la saccenza boriosa dei bigotti benpensanti, di strumentalizzare politicamente l’uso della lingua veneta si leggeva tra l’altro:

“Vada lo studente a comprarsi qualche libro scritto da storici che egli reputa oggettivi ed onestamente (con l’onestà intellettuale rivolta innanzitutto al rispetto di sé) cerchi la verità sull’argomento, su quali erano i rapporti con le potenze straniere dei vari staterelli del nord Italia alla vigilia del Risorgimento e quale fosse il sentimento diffuso fra i suoi conterranei a quel tempo.”

Beh, definire la Serenissima Repubblica di Venezia uno “staterello” mi sembra una affermazione per così dire “poco accurata”.

E ciò vale allora come adesso, visto che il PIL della Venetia sarebbe oggi tra i i G20 (e si dovrebbe fare il G21, altrimenti come lo dici all’ultimo della fila di scansarsi perchè sono arrivati i veneti).

Comunque volendo accettare la sfida cito Ugo Foscolo.

Un poeta troppo bravo per essere ignorato dalla storiografia ufficiale della letteratura, e dunque perennemente trasformato da poeta veneto che piange la patria veneta a poeta italiano.

Ma quando mai, quanta falsa storia ci si vuole propinare. Basta leggere i suoi scritti ed anche un cieco si trova immediatamente di fronte al suo orgoglio di essere veneto, tocca con mano la pena per la sua patria perduta e trova scritta nero su bianco la sua fiera fede indipendentista veneta .

Nacque e visse la sua infanzia nella materna isola di Zacinto, territorio dello stato da mar della Serenissima, che egli celebrò nella famosa ode di cui tutti noi ricordiamo questi versi “ove il mio corpo fanciulletto giacque”.

Sempre Foscolo, all’indomani della fine della Repubblica di Venezia, fugge nel padovano ed apre la sua celeberrima raccolta epistolare, le Ultime Lettere di Jacopo Ortis così : “11 ottobre 1797. Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia … consola mia madre … ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, quelle più feroci … Potrò io vedermi dinanzi agli occhi coloro che ci hanno spogliati, derisi, venduti, e non piangere d’ira?” (n.d.r. i francesi e Napoleone).

Non emozioni fuori dal tempo ma presenze quasi contemporanee, basta passare davanti a Villa Franchetti poco fuori la città di Treviso sul terraglio, uguale ed immutata, e osservarne con i  nostri occhi lo stesso capolavoro architettonico che anche lui visse e vide ed i giardini dove passeggiava mano nella mano … ospite della affascinante Isabella Teotochi Albrizzi, nobildonna veneziana, mecenate e, forse, sua amante.

Sono innumerevolevoli le ulteriori citazioni del suo amore per la patria veneta nei suoi scritti.

11 ottobre 1797

Ma dove cercherò io asilo? In Italia? Terra prostituita premio sempre della vittoria.

28 Ottobre 1797

E vi furono de’ popoli che per non obbedire a’ Romani ladroni del mondo, diedero all’incendio le loro case, le loro mogli, i loro figli e sè medesimi, sotterrando fra le gloriose ruine e le ceneri della loro patria

La lor sacra indipendenza .

17 Marzo 1798

.. farei cosa superflua e crudele ridestando in voi tutti il furore che vorrei pur sopire dentro di me: piango, credimi, la patria  – la piango secretamente, e desidero

Che le lagrime mie si spargan sole.

… la ragion di stato che vende come branchi di pecore le nazioni: così fu sempre , e così sarà: piango la patria mia,

Che mi fu tolta, e il modo ancor m’offende.

“La lor sacra indipendenza- La lor sacra indipendenza-La lor sacra indipendenza”

Che ingiustizia sapere le sue spoglie riposare a Santa Croce a Firenze e non a Venezia, la sua amata capitale.

E si, Ugo Foscolo, poeta Veneto, non italiano, e anche noi siamo veneti, anzi veneziani, come lui.

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