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La nascita della Democratura

“Oh che orribil creatura!”

“Tale è Democratura…”

“Ma che orribil creatura…
E cosa fa, cosa non fa?”

“Ruba a chi più non ne ha”

Frammento di aria anonima, metà Settecento

Il mio nipotino, che vedrà la luce dis faventibus a fine giugno, nascerà in piena Democratura. Cos’è? E’ la dittatura della democrazia.

Non che tutte le democrazie siano dittature. La Venetia libera sarà una piccola democrazia che agirà come salvaguardia nei confronti di ogni possibile dittatura, ma anche di ogni possibile democratura. E’ la dittatura di questa moribonda, tristissima democrazia italiana, è la dittatura dello Stato democratico, così come agisce oggi, in IT.

L’appalto della maggiore associazione a delinquere riconosciuta al mondo passa ora all’uno ora all’altro gestore, si alternano, “democraticamente”. Ora sono pronti i nuovi padroni, aveva ragione un grande scrittore liberale-classico dell’Ottocento americano: “Un uomo non cessa di essere schiavo perché gli si permette di scegliere il suo padrone ogni quattro anni”.

Vince come in ogni appalto chi promette di dare di più e chiedere di meno. Ingannano tutti. Ingannano perché parlano di riduzione delle imposte di uno o due o tre punti, quando gli economisti seri sanno che in una Venetia libera le imposte sarebbero presto ridotte almeno del 50% rispetto alle attuali.

Certo la maggior parte del popolo itagliato guarda con speranza a questi messaggi: è come essere sottoposti ad un maniaco che decida di toglierci gran parte delle dita tagliandocele con un’accetta. “Guarda — ci dice — qui fuori c’è mio fratello che di dita te ne lascia due o tre, io al massimo te ne lascerei una!”. Al che noi rispondiamo, legati alla sedia della tortura come gli sventurati giovani del film Hostel: “E va bene, allora fa’ venire tuo fratello”. Siamo rassegnati, speriamo che avvenga nel modo più indolore possibile. Ci somministrerà il balsamo, ovvero l’anestetico, dell’”amor di Patria”, un santino di San Garibaldi, un’iconcina di padre Pio fasciato nel tricolore, la foto della nazionale che vince la coppa del mondo…

Fino a quando andremo avanti così? Fino a quando non si comincerà di nuovo a soffrire la fame. Come accadrà? Proviamo a spiegarlo per sommi capi, ed omettendo molto, per brevità.

Ha dimostrato un acuto economista, Geminello Alvi, che IT è un paese la cui ricchezza si basa abbondantemente, almeno al 30%, sulle rendite. Sono microrendite, in generale. Nel momento in cui il mercato immobiliare, ad esempio, cala – questo accade periodicamente – insieme al valore degli immobili cala il costo medio degli affitti. E le rendite si attenuano. E’ un ciclo. Ma se cala troppo, o ci mette troppo a risalire, sono guai, se solo su questo, ad esempio, si basa un budget familiare. Per quanto tempo si può resistere senza mangiare? La questione, alla fine, passerà dal campo di competenza di economisti e politici, a quello di fisiologi e medici.

Le pensioni di IT sono poi un altro elemento del sabba infernale che porterà alla fine della festa, o meglio dei postumi della festa perché la festa è finita da un pezzo. Il sistema “pay as you go” è destinato al fallimento, perché nulla assicura che vi saranno, al momento del pensionamento di una generazione intera (la mia, tra 25 anni), abbastanza taxpayer che potranno pagare l’esazione contributiva, che andrà a mantenere la mia pensione. E allora io avrò pagato invano (e altri milioni di individui avranno pagato milioni di euro invano).

In generale, una famiglia di IT si basa, per sopravvivere, su microrendite come quelle di cui parla Alvi, e su rimesse dei vecchi, ovvero sulle pensioni. Come altrimenti sopravviverebbero famiglie in cui coloro che lavorano percepiscono salari tra i più bassi del mondo, in un luogo dove il costo della vita è tra i più alti del mondo? Come altrimenti sopravviverebbero i ricercatori universitari e i professori di liceo, con salari di ingresso di poco più di mille euro e progressioni lentissime? Erose però le une e le altre rendite – e qui parliamo di famiglie in case di proprietà, nel 90% dei casi esse stesse ereditate o avute in dono dai genitori – il benessere (relativo) di questa generazione, si trasformerà nel malessere (relativo) della prossima, e nella miseria nera della prossima ancora.

Intanto la allegra casta di IT, i padroni della democratura, prosperano. Almeno loro. Il sistema crollerà perché il benessere relativo ancora esistente, ma privo di un apparato produttivo e commerciale sviluppato davvero (come quello americano), privo di un’economia libera e basata su principi liberali, ma anche privo della capitalizzazione societaria ma anche familiare di nuovo americana, o inglese, consente ora, ma ancora per poco, una discreta esposizione creditizia: ci si compra la seconda casa, ci si compra la tv ad alta definizione, il tutto con mutuo e a rate. Ma presto non si potranno più pagare quelle rate. E allora (come già sta succedendo) il sistema confisca casa e tv. Ma se si tratta invece di prima casa?

Stella dice che siamo allo sfacelo, ma non lo dice solo lui. Lo va ripetendo Beppe Grillo, lo vanno ripetendo l’OCSE e le grandi organizzazioni internazionali. Lo dicono trasmissioni di sinistra come Report (e la Gabanelli è talora un’autentica eroina), e trasmissioni qualunquistiche. L’unico vero programma politico liberale per IT lo sostiene il solo gruppo di decidere.net, capeggiato da Daniele Capezzone: utopia pura, finché non si tocca l’essenza stessa dello Stato e soprattutto non si ritiene di smembralo; pura, ma onesta. Ma di vero liberalismo non parla più nessuno, Tremonti è divenuto seguace dello statalismo di Colbert, in tempi di crisi ci attacca allo Stato, alla Patria, al Tricolore. Anche perché la crescita di IT, come di ogni leviatano ottocentesco, non si può fermare, la spesa pubblica cresce naturalmente. Perché? Perché cresce il costo della vita, e dunque devono crescere le esazioni coatte di Democratura.

Esempio: si possono anche mantenere a livelli di fame gli stipendi dei dipendenti pubblici sfavoriti – la proletarizzazione del dipendente pubblico è un segno chiaro del fatto che lo Stato assume per crearsi consensi, ma visto che le risorse sono limitate, assume con stipendi miserabili, ri-distribuisce in modo che abbiano tutti qualcosa, e non si lamentino – ma la carta igienica costa.

Non siamo nella felice situazione dell’URSS di Stalin, dove lo Stato poteva produrre anche la carta da culo, e dunque calmierare tutto, dunque (ogni tanto ammazzando qualche milione di persone) tenere anche tutto sotto controllo. Si può sempre sperare che i professori universitari, mangiando poco, e facendo poco moto, producano pochi escrementi oppure magari la carta se la portino da casa (come ci ricorda Alberto Arbasino, esistevano simpatici personaggi fittizi, negli anni Cinquanta, come Kakapoko Kifapokomoto). Quindi la spesa pubblica di Democratura è destinata a crescere ancora, e con essa la miseria dei cittadini.

Quello che i liberali-classici, i liberali-scientifici, i liberali-tecnici, i marxisti e neomarxisti, i grilli parlanti e i Travaglio e le Gabanelli e gli Stella e i Rizzo, non dicono – forse non perché in mala fede, lo schifo lo vedono bene e sanno farlo vedere bene agli altri, ma forse perché non hanno chiara questa via d’uscita – è che per salvarsi occorre smembrare IT, o per quel che immediatamente riguarda la Venetia, separarsi, tornare ad essere indipendenti, liberi, sovrani.

Occorre creare tanti piccoli Stati indipendenti, come la Venetia futura. Movimenti indipendentistici sono ovunque. Forse anche in Lazio!

Come sarebbe felice una Roma libera, nessuno la chiamerebbe più “ladrona”. Roma, prima di tutto Roma, proprio la caput mundi, verrebbe rilanciata nel mondo, se divenisse capitale di un Lazio libero, che magari si ridisegnasse nei confini che furono quelli dello Stato della Chiesa. Perché tutti le persone non stupide che ho citato prima hanno paura di questo? Perché sono stati cresciuti come tutti nel culto indottrinante della Patria, del Tricolore, ed è come strapparsi una seconda pelle, è doloroso. Sì, lo è. Ma occorre farlo. Altrimenti la democratura ci porterà nell’abisso.

Ma esistono ancora quelli che si interessano ai più deboli, o tutti hanno venduto la loro anima a qualche onlus e sono felici e contenti quando hanno dato il 5 per mille, l’8 per mille e altrettanti abomini? Intanto, i più deboli ora siamo noi. E poi: la sinistra spazzata via dal parlamento, non potrebbe riflettere che se aveva a cuore i più deboli, davvero, solo un’IT divisa in tanti Stati singoli, avrebbe potuto e può fornire la soluzione?

O avevano a cuore solo il mantenimento dei privilegi sindacali, solo la difesa della loro casta in un mondo, una IT di caste, destinate tutte a diventare sempre più misere, a festeggiare con i fichi secchi un minimo aumento salariale, una minima riduzione delle imposte, la fine dell’ICI, e altre baggianate?

Perché tanta paura di una Venetia libera, di una Sardegna libera? Si ha paura che si tratti di feste di provincia, che nella Venetia verrà a tutti la pellagra perché vorremo mangiare solo polenta, che in Sardegna si farà l’amore con le pecore? Sono così ignoranti, immensamente ignoranti gli intellettuali e i politici di IT?

Sì, in parte lo sono. In parte sono in piena malafede perché sanno che non è così. In parte sono semilavorati del sapere, quelli che credono di conoscere Hegel perché lo citano in tedesco leggendo le edizioni col testo a fronte, che si riempiono la bocca del pensiero di studiosi anglosassoni di cui non sanno pronunciare correttamente il nome, che riempiono di pattume di seconda scelta – recensioni a traduzioni, editoriali saccenti – le pagine dei grandi quotidiani di IT, quelli che ricevono 23 milioni di euro all’anno di contributo pubblico all’editoria, e quindi con che coraggio parlerebbero della miseria e auspicabile fine di IT?

Non si sputa nel piatto in cui si mangia, soprattutto quando si sottrae il pasto agli altri.

La realtà è che Venetia, Sardegna, e tutti gli altri paesi e popoli che legittimamente aspirano all’indipendenza non mangiano polenta e non si mescolano con le pecore, come vorrebbero far credere i templari di IT, i professoroni titolati, bravissimi a scrivere corsivi offensivi verso di noi, e a piazzare mogli e amanti, figli e nipoti in cattedre universitarie.

Producono, in realtà, fior di intellettuali e imprenditori, la Venetia, la Sardegna, la Sicilia, infinitamente superiori ai tromboni di IT, e che lavorano in istituzioni prestigiose nel mondo, scrivono in inglese, italiano e veneto, e sardo, e sono dieci spanne sopra a quei miserabili pennivendoli che hanno fatto carriera conoscendo (male) l’italiano e proclamando la grandezza di IT ad ogni piè sospinto.

E intanto, però, qualcuno comincia a non farcela più ad arrivare a fine mese.

Il PNV e la Venetia libera sono una promessa di libertà e felicità per un popolo. Prima che sia troppo tardi. E tale felicità non potrà derivare se non dall’indipendenza.

Se ci teniamo la democratura, quest’orrenda creatura alla fine ci divorerà.

Paolo Bernardini

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