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Lettera da Messina agli amanti della libertà

Giunti sulla soglia dell’autunno giova rimembrare le scorribande estive. E soprattutto, giova riflettere sulle pieghe nuove che stanno prendendo le vicende dell’indipendentismo sull’italico suolo. Sbarcati a Napoli, siamo stati piacevolmente sorpresi dal vedere affissa un po’ dovunque la pubblicità di un libro di Francesco Agnoli sul “brigantaggio”, ovvero su patrioti valorosi che difendevano la propria terra e la propria identità, e che la storiografia ufficiale ha definito per oltre un secolo “briganti”, facendo sì che alla storia fossero consegnati come veri briganti proprio tali storici. Ma Agnoli non è il solo che finalmente riporta la storia del Mezzogiorno via dalla mezzanotte della storiografia ufficiale: si muove anche l’università, si muovono economisti come Nicola Zitara, secondo cui il Regno nel 1860 – cito da I fogli di Enclave (I, 4, Settembre 2008), “era il paese più industrializzato d’Italia, possedeva la terza flotta più importante del mondo, il 72% della moneta circolante nel paese e una delle banche più solide”. Bene, l’invasione sabauda lo ha ridotto a quel che è ora. Ma è a Messina che siamo piacevolmente stupiti dai discorsi delle persone, dalla volontà di libertà e indipendenza di questa splendida Trinacria, che ha molti più angoli splendidi di quanto non indichi il suo vero nome. Non sono tre, sono tremila. E’ bello che i negozianti si rivolgano a noi in siciliano: la mia compagna d’avventure risponde in veneto. Sì, nel bel giorno che saremo liberi dal giogo infame ed immane del centralismo romano riscopriremo tutti le nostre belle lingue, umiliate da quella letteraria con cui sto scrivendo ora. Che certo diverrà forse koiné sul suolo italico ma per scelta nostra, e come auspicava Pietro Bembo nel 1525, e non per imposizione di politici e burocrati, che peraltro hanno fatto del loro meglio, storicamente, per svilirla e storpiarla. Anche e soprattutto in Sicilia vibra, vigile e non più troppo cauta, un’anima indipendentista. Sulla nave americana che ci ha portato sullo stretto – dove qualche sciagurato vorrebbe costruire un ponte per meglio legare un corpo vivo al cadavere di uno Stato marcescente – un mio allievo mi chiede: “Ma come potrà essere libera la Sicilia, che ha una storia millenaria di occupazioni, dai greci agli Savoia?”: dalla Magna Grecia alla Parva Italia? Bene, se anche fosse vero, ma la storia siciliana non è così semplice, millenni di schiavitù rendono vivo e acceso il desiderio di libertà, una sete immensa non potrà che essere saziata dalla più ricca delle fonti, la libertà, l’indipendenza. Ma fuori dalla poesia, che nella terra di Quasimodo quasi esala dalle cavità della terra, e s’alza come una nebbia dai suoi minimi fiumi, la prosa del Consiglio Regionale indica quella strada. E lo indicano bene gli umori della gente. Cominceranno loro, e la Venetia seguirà? Siamo dinanzi ad una splendida gara. Ecco la verità. Ma sono processi inarrestabili. Quando saremo separati, ritroveremo la nostra bella unità di essere umani, perché l’unificazione non ha unito un bel niente, ha diviso uomini da uomini e genti da genti, ha separato drammaticamente le culture, ha creato logiche di insulti e violenze. Ha creato la parola “terrone”, infamando prima di tutto il rapporto con la terra che rende l’uomo tale – “humus” origine di inumare, ricordava Vico, restituzione nostra alle origini prime – e lo ha reso tale per millenni dalla Venetia alla Sicilia. Terre lontane che saranno infinitamente unite, da un legame fraterno, proprio nel momento in cui ognuna sarà un piccolo Stato libero e felice, e in sana competizione. Un’ estiva Messina sonnolenta racconta storie di libertà e di lotte per questa, lo racconto l’orto botanico, lo raccontano i nomi delle strade, i visi delle genti. Si avvicina una bellissima ora per la Sicilia libera, che noi tutti celebreremo nelle nostre lingue, così diverse, e che pure in quel momento saranno comprese da tutti. 

Paolo Bernardini

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