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Yemen, prossima tappa

Nel mondo che positivamente si frantuma in tanti piccoli e meno piccoli Stati, avremo presto, probabilmente, un’altra salutare scissione, quella dello Yemen.

Scrivo queste righe mentre il mondo osserva sconcertato gli ultimi bagliori sinistri di quella che definirei l’estrema ora dell’Impero ottomano, scioltosi nel 1919, ma le cui ferite sono ancora ampiamente aperte. Ma scrivo queste righe anche nel momento in cui il mondo libero saluta l’affermazione del sì per la separazione del Sudan, questa nefasta invenzione coloniale, tanto quanto un’invenzione coloniale è ITA, in attesa disperata di una sua scissione, della sua decolonizzazione finalmente, e mentre il mondo universa osserva tra lo sgomento e il divertito (scrivo dall’America), il tristissimo bordello in cui il governo di ITA si è trasformato, non una degenerazione, ma la sua naturale evoluzione, non ci sarebbe potuto essere altro. Non per la nequizia o la lussuria degli uomini, ma per il marciume intrinseco del sistema, per la fallacia strutturale e di principi ispiratori: se si costruiscono fogne, come non aspettarsi che in esse vadano ad annidarsi i topi?

Per cui occorre guardare allo Yemen, ora, con estremo interesse, perché qualora si scindesse, l’unico Stato ad essersi riunificato, da due a uno, dal 1945 anni, verrebbe ad essere la Germania. Infiniti altri si sono positivamente e spesso pacificamente divisi.

Sono passati oltre venti anni dall’unione forzata tra Yemen del Sud e Yemen del Nord. Si era nel maggio 1990. Nel 1994 vi fu una guerra civile. D’altra parte, lo Yemen “unito” ha fatto esattamente quel che i Savoia fecero con il Regno delle due Sicilie: distruggere la resistenza, appropriarsi delle risorse (che erano in gran parte al Sud, i Borbone avevano l’oro e tanto altro, gli yemeniti del Sud il petrolio e non solo), ed accusare di ogni atrocità i patrioti che difendevano giustamente la propria libertà e le proprie risorse.

Lo Yemen è una terra bellissima. In gioventù ne ero attratto per la lettura filmica che ne aveva dato Pier Paolo Pasolini, innamorato di quel Paese. In seguito mi interessai dello Yemen perché divenne oggetto di una mia ricerca sull’Illuminismo tedesco, e la spedizione Niebuhr, trattata anche di recente di un bel romanzo, “Arabia felix”, di Thorkild Hansen, un bellissimo scritto del 1962, pubblicato in italiano da Iperborea (Hansen morì nel 1989).

In tempi assai più recenti sono venuto a conoscenza di una bellissima realtà veneta, l’Istituto Veneto per i Beni Culturali, diretto da un uomo coltissimo e appassionato come Renzo Ravagnan, che ha condotto ottimi restauri nello Yemen; e di questi giorni è la lettura di un’eccellente storia dello Yemen della competentissima Farian Sabahi: Storia dello Yemen (Bruno Mondadori), che non necessariamente sottoscrive alle istanze separatistiche, ma mette bene in luce come si è arrivati alla critica situazione presente.

Certamente la terra della regina di Saba è una repubblica, caso unico più che raro, ma la forma di governo è meno importante del benessere dei cittadini, messo in grave dubbio dalla unificazione, sebbene lo Yemen del Sud, come la Germania dell’Est, fosse un regime comunista.

La fine della colonizzazione e la fine dell’Impero ottomano saranno ottenute solo quando tutti i popoli che aspirano legittimamente ad essere governati da se stessi e da chi parla la propria lingua, come Fichte ricordò ai tedeschi asserviti (ma non tutti) a Napoleone nel 1808, avranno raggiunto tale scopo. Alla fine, poco importa che si torni all’antica monarchia, se questa salvaguarda il benessere e la dignità della nazione, ma soprattutto degli individui.

Paolo L. Bernardini

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