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Kosovo e Venetia: le alchimie della Storia

Indubbiamente possiamo applicare il modello del rapporto costo/benefici, quindi un modello econometrico, anche all’indipendenza degli Stati. Tuttavia, nel caso della creazione di nuovi Stati in aree storicamente problematiche – dove per “problematico” si intende l’esser sottoposti a periodiche dominazioni straniere ed occasionalmente a massacri – occorre tenere presente, innanzi tutto, quel che Rousseau chiamava la “volontà generale”, ed insomma il desiderio dei popoli, espresso nella forma, pur imperfetta e talora assai discutibile, della volontà della maggioranza. Lo ricorda, sull’ultima Oasis, prestigiosa rivista multilingue voluta dal Patriarca Scola, Engelbert Zefaij: il principale protagonista di tutta la vicenda del Kosovo, deve essere il popolo kosovaro: e questo “non deve essere ignorato”. La complessa struttura etno-culturale e linguistica del Kosovo, la presenza di una minoranza serba assai consistente, il fatto che non esistano grandi garanzie – nonostante l’ottimo compromesso, se temporaneo, del piano Ahtisaari –  che tale minoranza possa essere rispettata ottenuta l’indipendenza – il vincitore delle recenti elezioni è figura controversa, nota come “Serpente” per la sua freddezza – sono ostacoli che portano il mondo delle diplomazie occidentali ad essere troppo prudente nel permettere al Kosovo, ormai ampiamente albanese, di conquistare l’indipendenza. Ma sono soprattutto le pressioni di Mosca ad impedire questo passo, l’adattamento dell’ideologia panslavistica, “serbo-slava”, alle mire totalitarie di Putin. Inutile che la Serbia si ostini in una battaglia perduta: come ha appena scritto Anna Di Lellio su L’Occidentale: “Pavkovic, Milosevic e Kostunica sono la vera ragione per la quale il Kosovo non sarà mai più serbo, perché una leadership che opprime e uccide la propria popolazione perde il diritto a governare, de facto e de jure.” In questo senso, deve essere lodato il comportamento filoindipendentistico, che sorprese molti comunisti o ex-tali, di D’Alema nel lontano 1999; e anche quello tenuto da D’Alema in questo momento. Il fatto che ora tutto il discorso sia stato riportato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non è per niente positivo e rischia di procrastinare, trascinandola in un possibile bagno di sangue, la soluzione della vicenda, che sta solo nell’indipendenza. Ma una figura come Richard Holbrooke, sul Washington Post del 13 marzo scorso, aveva scritto bene che il destino della Serbia è nella UE, nell’abbandono di deliranti panslavismi, “invenzione di tradizione” per eccellenza. E che un Kosovo libero sarebbe un grande nodo di accesso ai Balcani, permettendolo loro di entrare in un circuito economico vincente. E questo sarebbe essenziale anche per la Serbia. Ora, la stessa cosa vale per la Venetia. Se fosse libera, sul lungo termine il beneficio toccherebbe anche all’Italia: dove si coltivano ancora sogni “pan-italiani” labili tanto quanto quelli “pan-slavi”. Ma dove per fortuna nessun Putin difende lo Stato centrale dall’esterno, e con una forza immensa e parzialmente incontrollabile. Il destino del Kosovo, territorio vicino eppure lontano, in qualche modo è legato e a doppio filo con quello della Venetia. L’indipendenza del Kosovo, per quelle speciali alchimie della storia, potrebbe essere fondamentale per il conseguimento di quella della Venetia.

Paolo Bernardini
pb@bu.edu

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