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Storia e politica. Qualche considerazione

Esiste una bella espressione inglese, “clean slate”: significa “tavola” o “lastra” pulita. Iniziare qualcosa “on a clean slate” significa cominciarla con tutte le migliori premesse e facendo piazza pulita dei rimasugli del passato, o quantomeno, della situazione precedente. Io vi vedo una lastra d’ardesia, di “ciappa” nel mio bel dialetto ligure, di un nero lucido, levigato, bello. Per questo è bene chiarire subito il rapporto che deve avere il PNV, e la Venetia tutta, con il proprio passato, ma soprattutto con l’uso della storia. E dico questo perché sono impegnato in riletture, occasionate da libri importanti, di alcuni eventi cruciali, il 1809 e il 1866, della storia della Venetia. Che la Venetia diventi presto un piccolo stato libero, sovrano, indipendente (nella forma) e ricco, felice, prospero e sereno nella sostanza, è l’auspicio che tutti formuliamo. Occorre staccarsi dalla nave che naufraga senza mai aver navigato bene, e questo lo sappiamo noi e lo sanno i siciliani. Per cui senz’altro raggiungeremo presto questo obiettivo, che è al contempo un bellissimo sogno e una realtà che si avvicina. Che tra le premesse per questa libertà e sovranità vi siano 1100 anni di storia di indipendenza e gloria, nessuno intende metterlo in discussione. Ma la storia deve essere scienza imparziale, quanto le è possibile, proprio perché la hanno reso parziale, in Italia, tutti o quasi gli storici asserviti al regime, prostituendola a quello o questo fine. Ma soprattutto alla legittimazione quasi teleologica, tutta idealista, ma anche tutta concretamente interessata, della creazione dell’Italia unita e del suo stolido, pervicace mantenimento, quando perfino dei centralisti come Massimo D’Azeglio ad un certo punto della loro vita ritennero necessario, per la salvezza di tutti, ma del Piemonte in primis, separare questo mostro; e in fondo talora lo pensò anche Cavour, e questo prospettò a Napoleone III a Plombières. 

Ora, occorre evitare il rischio contrario. Ovvero, di leggere tutta la storia come una storia di resistenza all’unificazione, da Napoleone a Berlusconi, dal 1796 al 2008. Perché non possiamo negare, ad esempio, che ai tempi delle gloriose insorgenze antifrancesi, dal 1796 al 1814, non vi fosse una buona parte della nobiltà e della classe dirigente della Serenissima, e forse anche una parte del popolo, che in realtà credeva in Napoleone, e in qualche modo affidava la propria speranza di benessere al cambio di regime, che equivaleva ad una perdita, perfino violenta, di libertà. E così anche nel 1866. Dunque, se da un lato accogliamo con grande piacere tutta la storiografia “contro-corrente”, dobbiamo anche essere capaci – e lo dico da storico prima che da politico – di guardare a tutte le tendenze, e studiarne in profondità le motivazioni. Non vi sono forse anche oggi così tanti veneti, uomini politici, intellettuali, industriali, e non solo, che vedono come un bene, o come un male necessario, l’Italia unita? E allora perché non avrebbero potuto crederci nel 1796, nel 1866, nel 1915? Per questo, l’azione politica dev’essere cauta nell’utilizzare la storia, proprio per evitare che un giorno si ribaltino le prospettive in un modo allarmante, e, ostinandosi a pensare di aver ragione e di essere autorizzati a manipolare in modo contrario il passato, si passi dalla parte del torto. Il passato è una visione sfuggente, ogni volta che crediamo di averlo messo a fuoco s’appanna di nuovo, e per questo è così bello, ma anche così effimero, il lavoro dello storico. 

E’ lo straordinario sguardo su camposanti infiniti, dove i morti sono vivissimi e cambiano continuamente posizione. 

Il progetto di una Venetia libera è essenzialmente un progetto politico. Non importa davvero che molti credessero in Napoleone e Cavour e perfino Garibaldi, anche se è sempre un bene dimostrare quanto importanti furono le insorgenze nel 1796-1814, e quanto ridicolo fu il plebiscito nel 1866. Ma occorre essere imparziali, e vedere, nella misura in cui possiamo farlo, come tutto ciò davvero accadde. Il vecchio sogno di un grande storico che si chiamava Leopold von Ranke. 

La verità una e sola è che una Venetia libera ora come ora garantirebbe una felicità individuale e sociale infinitamente maggiore di quella elargita da un sistema Italia miserrimo, ridicolo, laido e truffaldino. 

E qui è la differenza tra storia e presente. La storia può essere materia di disputa (“ma erano di più gli insorgenti, o coloro che credevano in Napoleone”?) ma la miseria del presente e le oscure previsioni per il futuro non sono tanto discutibili, perché primo è sotto gli occhi di tutti, secondo, vi sono economisti, politologi, ma anche studenti e massaie, che mostrano chiaramente, chi con studi chi con l’eterno bellissimo intuito di tanta povera gente, che questa porcheria chiama Italia sta infettando ampiamente i nostri decenni a venire. 

Per questo, la Venetia libera è necessaria. Anche se non vi fosse stato un passato glorioso di libertà. Tale passato ci interroga certamente, e legittima ancora di più l’indipendenza. Ma non è l’unica e forse neppure la principale legittimazione. La principale legittimazione è l’infelicità e la miseria crescente delle genti. Certamente, il giorno luminoso in cui tale libertà verrà conquistata, accenderemo un cero alla memoria dei morti per la Serenissima, ma non getteremo discredito su coloro che in buona fede sono morti per Napoleone e Cavour. Come nella teologia di Karl Barth (ma anche nelle canzoni di De André), non esiste l’inferno nel regno di Dio. E non esisterà l’inferno dell’oblio nella Venetia libera, il nostro piccolo regno di quaggiù. 

Proprio perché all’oblio sono stati condannati per due secoli i martiri delle Pasque veronesi, e tutti gli altri che diedero la vita per la loro idea di libertà. Se mai, un piccolo inferno spero ci sia per gli storici che hanno dimenticato una parte per esaltare un’altra: ma non sarà un inferno di tribolazioni dantesche. Vi circoleranno piccoli diavoli grassottelli e tutto sommato ilari, che obbligheranno gli storici a guardare tutte le carte di tutti gli archivi del mondo, e porteranno a codesti dannati panini alla mortadella e prosecco, ogni tanto, sussurrando loro in tono bonario: “Eh, ma certo che eravate proprio ignoranti, da vivi…”. 

Paolo Bernardini

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