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Le maestre venete e la pacchia romana

Non si è parlato molto del fatto gravissimo che in alcune scuole pubbliche venete, e segnatamente del vicentino, del trevisano, e dell’alto padovano, almeno dieci, gli stipendi di settembre dei maestri siano stati pagati il 22 ottobre, invece del consueto e legale 27 settembre. Ora, certamente si fa un gran vociare della crisi dei mercati, della invisibile mano dello Stato che va a curarli – la mano dello Stato diventa poi molto visibile e soprattutto sgradevolmente palpabile quando si infila nelle nostre tasche – dell’Ai-Italia (refuso voluto) in cancrena, dei sub-prime e di Obama. Ma le maestre venete? Orsù, mettiamoci una mano sul cuore prima che Roma ce la rimetta sul portafoglio! Non sono proprio le maestre ed i maestri che hanno fatto l’Italia unita, le penne della nazione, le creature di De Amicis, non solo loro che insieme ai parroci e agli operai, ai contadini e ai piccolissimi imprenditori, hanno fatto l’Italia? E che ora si vedono derubati dello stipendio – sono stati pagati gli interessi di mora? – da una pubblica amministrazione sull’orlo della bancarotta, forse soprattutto morale prima che finanziaria? (Ma anche finanziaria). Ma mentre le maestrine venete rimangono senza stipendio, affrante più che Franti cacciato dalla scuola, ma lì imperterrite ad insegnare, a riempire di bianchi disegni le atre tavole dette lavagne – vengono versati a fondo perduto 500 milioni di euro per “Roma capitale”, e altri a pioggia cadono giù, forse in omaggio alla forza della gravità, questa legge eterna che secondo acuti atei dei nostri tempi impedisce perfino alla Madonna di salire al cielo. Sì perché la ricchezza prodotta al Nord la legge della gravità l’ha sempre rispettata, eccome. E’ finita sempre in basso. Ora forse sarà necessario prendere qualche provvedimento, se non altro perché la crisi finanziaria tocca senz’altro molti italiani, ma gli italiani che la baracca reggono sono toccati assai più dallo stipendio che non arriva, e che basta per portare a fine mese, non finisce in hedge funds, o altrove. Si squaglia regolarmente e in breve tra panifici e farmacie, macellai e gommisti. Non sarebbe il caso di riflettere su quali riforme intraprendere; oppure, piuttosto, assai più radicalmente, su come riconfigurare l’assetto politico della Penisola e delle Isole tutte, in senso non federalistico – con buona pace delle irrealizzabili proposte di Calderoli – ma radicalmente indipendentistico? Ma intanto milioni di euro a pioggia cadono nel nulla e le maestre venete insegnano gratis, nella nobiltà della loro professione, nella devozione ad un mestiere svillaneggiato (sanno quanto guadagna una loro pari in Svezia, o in Svizzera? Meglio che non lo vengano a sapere) da un’Italia che all’istruzione e al sapere ha sempre guardato con diffidenza, per non aumentare troppo il pericoloso novero non dico dei sapienti, ma quantomeno dei “non-ignoranti”, che questo sistema centralistico oramai decotto e stracotto con buoni argomenti possono mettere alla berlina, più che in crisi. 

Paolo Bernardini

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