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Quattro cose sul quattro novembre

Moneglia, Repubblica di Genova, 2 novembre. Una giornata di sole autunnale, il mare tra l’azzurro e il grigio, lievemente mosso, alcuni bimbi biondi, forse tedeschi, che si buttano tra le onde, incuranti dell’acqua fredda ma non più di quanto lo sia l’aria, frizzante, pulita, aria ligure, sempre vagamente odorosa di mimosa. La dolcezza delle piccole onde d’acqua, e di quelle minime di sabbia, la dolcezza del clima e del cibo, la focaccia al formaggio, viene turbata dall’apparizione subitanea di un turpe manifesto, dove è scritto: “4 Novembre. In onore dei caduti, in difesa della pace”. Vi si vedono le “Frecce tricolori” volteggiare, e sotto la firma in piccolo della locale amministrazione comunale. Un brivido di orrore mi assale ogni volta che sento evocare la grande guerra, chiamata così da piccoli storici e minimi statisti, pronti a farsi belli del sangue degli altri, una dei maggiori massacri della storia, una vergogna senza fine. Ma come sono svergognati, osceni, squallidi e tristi i politici di ITA, che sviliscono la storia per il loro bieco fine, di mantenere 60 milioni di individui in schiavitù, perfino utilizzando il sangue innocente di 600.000 mila morti tra il 1915 e il 1918, e molti dopo per i traumi e le ferite subite. E allora per questi morti, alla memoria di questi bambini sacrificati da ITA e da numerosi altri stati rapaci e assassini, da imperi moribondi e da presidenti “idealisti”, vorrei ricordare, qui ora, quattro cose, per questa data infausta. E farne materia di pubblica riflessione.

1. La Prima Guerra Mondiale, quella che un papa illuminato come Benedetto XV (genovese) chiamò “inutile strage”, è stata probabilmente la più insensata carneficina di Stato della storia, con numeri tali da far impallidire Hitler e Stalin. Riporto di seguito una tabella dei morti, assai interessante, per quanto sia difficile una contabilità precisa. Anche se ovviamente lo Stato sabaudo la tentò, durante le trattative della pace di Versailles, per “mettere sul piatto” un bel numero di cadaveri. Non ricordo la cifra ma era proprio esatta esatta, tipo 621.345, una cosa da ragionieri precisini precisini come notoriamente sono i ragionieri dello Stato, i burocrati che tengono conto di quante sono le ghiande nel Porcile.

VITTIME

Penso che non ci sia niente da aggiungere.

2. Al contrario di quanto dicono i servi di ITA, assessori, professori, pennivendoli, scrivani, scribi e farisei, onorevoli, deputati, senatori, rappresentanti delle forze armate di terra, cielo, mare, compresi i poveri amministratori del feudo di Moneglia, l’Italia non difese una mazza di niente. Aggredì l’Impero austro-ungarico dopo un voltafaccia repentino, in maniera ignobile. Il Piave mormorò dalla vergogna e dall’imbarazzo, il 24 Maggio 1915, dalla tristezza infinita nel vedere migliaia di giovani andare a morire per niente, 600 mila morti per conquistare territori dove vivevano, in pace, 400 mila “italofoni” (più o meno) che poi d’allora innanzi hanno fatto se non di tutto, molto per ritornare all’Austria. Quella vergognosa guerra rappresentò il culmine del disprezzo e della violenza perpetrata sugli “Italiani” dal governo sabaudo a partire dal 1859, uomini o più spesso bambini erano considerati carne da macello, personaggi biechi, che sembravano usciti da un romanzo di Sade, come Graziani e Cadorna, facevano fucilare i loro uomini con una facilità estrema: una volta, come racconta di recente in Milord Edgardo Bartoli, Andrea Graziani – il futuro boia di Mussolini in Africa, il Kaltenbrunner “de noaltri” – fece fucilare un soldato italiano perché al suo passaggio non si era tolto il sigaro di bocca. Lo sanno questo gli amministratori pubblici che lordano i muri di Moneglia, della Liguria e del Veneto tutto, con cotale sudiciume, rettorico e falso? Forse no, forse sì, e continuano a propagare una menzogna dalle gambe lunghe, che svilisce loro per primi. Per fortuna vi sono sempre più storici che, privi dei paraocchi e delle briglie fornite da politici-cocchieri, guardano a quella strage – 65 milioni di morti, come se tutti gli abitanti di Italia e più della metà di quelli della Svizzera fossero spazzati via – come alla vergogna che è stata. Penso ad esempio ad esempio a Dynamic of Destruction: Culture and Mass Killing in the First World War di Alan Kramer (OUP, 2007).

3. Per cui, la mia terza idea è questa: si dichiari il 4 Novembre il vero giorno dei morti, non il 2, o si faccia un secondo giorno dei morti. Il primo giorno ricorreranno i morti tutti, che la natura ha portato via. Il secondo, i morti per la protervia, l’ambizione e la nequizia degli Stati, e il 4 Novembre è data perfetta.

4. In ultimo: il manifesto monegliese, con le frecce tricolori, mi ha riportato alla mente un episodio di cui è ricorso il ventennale quest’anno. Un’altra “piccola” strage MADE IN ITA. Ma che val la pena ricordare. Le frecce tricolori erano intente, in quel di Ramstein, in Germania, in un terso giorno d’Agosto, a disegnare la figura acrobatica del “cardiode”, una sorta di cuore, sui cieli germanici. Bene, per errore umano o per chissà quale disdetta, il cardiode in questione fece cessare di battere 70 cuori, dopo averne ben bene abbrustolite le carni. Perché vi fu un incidente in aria, e alcuni aerei si scontrarono cadendo in fiamme al suolo.67 spettatori e tre piloti. Ora qualcuno può spiegare il senso di queste morti? Sono gli Stati nazionali di origine ottocentesca così duri a morire loro stessi, ma così abili nel far morire gli altri. Così la nostra pietà va verso i 65 milioni di morti della prima guerra mondiale, verso i 70 morti del 28 agosto 1988, ma non va verso chi si ostina a mantenere in vita cotali Stati, che continuano imperterriti a creare sciagure mentre stravolgono la storia, chiamando “vittoria” e “difesa patriottica” la pagina forse più nera della storia del genere umano, la prima guerra mondiale.

Paolo Bernardini

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