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Slo-cro via Serbia

Sull’Adriatico vige un silenzio paradisiaco, beata l’indolenza, l’ignoranza, la letargia. Sembra quasi che questo mare meraviglioso non appartenga a tutti noi, che l’ambiente così pregno di elementi geografici e storici comuni non ci imponga di essere orientati gli uni verso gli altri, di collaborare, di coltivare l’amicizia. Lungo le coste adriatiche il silenzio si fa assordante e non si riesce più a capire chi ignori chi. I rapporti lungo la Dragogna si sono fatti tiepidi, e lo stesso e accaduto anche fra Lubiana e Zagabria. L’atmosfera è tiepida sull’Adriatico, fra la Croazia e l’Italia, sulle coste dell’Isonzo, fra la Slovenia e l’Italia. Nonostante tutto, però, si nota un certo dinamismo nei Palazzi di Roma. Roma intende (di nuovo) regolare i propri interessi a Zagabria e a Lubiana attraverso Belgrado?

“Le opportunità di sviluppo e di sinergia che offre la Serbia in questi e in altri settori potranno così essere raccolte, partendo da una posizione di vantaggio, dagli operatori economici italiani, in particolare da quelli dell’area più prossima geograficamente, che è il Nordest. Non a caso, in occasione del Vertice di Roma del 13 novembre scorso proprio l’FVG e il Veneto (oltre alla Lombardia) hanno firmato con il governo serbo un Memorandum of Understanding per la cooperazione in diversi settori di reciproco interesse” (Franco Frattini, ministro degli Esteri italiano, in un’intervista al “Piccolo”, Vigilia 2009).

Il ritorno dell’Italia in Serbia, dove la Fiat investe nella Crvena Zastava di Kragujevac (che adesso si chiama semplicemente Zastava.), ma anche sul territorio dell’ex Jugoslavia avviene, a mio modo di vedere, con modalità un tantino strane a sentire il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Dov’è finita l’Ost politik di Fassino? La nuova Farnesina sta dando vita a una nuova politica orientale che fa tornare in mente tempi passati, la politica che poggiava sul by-passaggio dei Paesi ex-YU più vicini, la Slovenia e la Croazia? D’altra parte, le tensioni lungo la direttrice Roma-Lubiana-Zagabria sono ben meno presenti che in passato, ma va detto che i rapporti sono “al minimo”, o perlomeno, quello che fino a ieri sembrava essere un rilancio del dialogo sta vivendo uno “stop”. Mi chiedo se sia un revival della destra – e penso anche al riconoscimento dato all’ultimo sindaco italiano di Zara, e alle celebrazioni della X Mas volute da La Russa -, a incidere negativamente sui rapporti? La diatriba sulle foibe e i crimini fascisti che ha coinvolto Mesic e Napolitano è riuscita, forse, a peggiorare le cose, almeno dal punto di vista protocollare?
O forse l’Italia sta traducendo in vita la volontà dell’UE? Perché, come spiega Drago Kraljevic, un nostro Istriano di Buie, ex ambasciatore croato in Italia, nel suo libro, “L’Italia, il nostro vicino più grande e più potente” l’UE avrebbe delegato tacitamente l’Italia a promuovere i suoi interessi nei Balcani. Non si può negare che questa MANUS LUNGA EUROPAE nella sua politica evolutiva per i Balcani non sia coerente nella sua impotenza; la recente parata con lo “Schengen bianco” per la Serbia e la Macedonia è un bel passo avanti, ma è grottesco il fatto che la Bosnia ed Erzegovina rimanga fuori da questo gruppo. Ma forse, accanto all’Italia, nel ruolo di “mentore” per i Balcani c’è anche la Slovenia, che torna a bloccare la Croazia; scrive il ben informato Mauro Manzin:

“Slovenia e Croazia è pace fatta sui confini. Tutto risolto? La Croazia può proseguire spedita lungo la via che porta a Bruxelles? Niente affatto. Perché alcune riserve di Lubiana permangono, e, di fatto, il velo resta aperto”. Quali dubbi sto nutrendo? Temo che questa MANUS LUNGA abbia un doppio fine, temo che tenti di rallentare il percorso europeo della Croazia e di accelerare quello della Serbia, della Macedonia e dell’Albania.
Mi sembra improbabile. Anche se lungo la direttrice Lubiana-Zagabria assistiamo a un modo di fare tipicamente balcanico, la Croazia ha registrato dalla sua un bel vantaggio in Europa, lo ha fatto anche dal punto di vista psicologico. È in vantaggio perché firmando l’Accordo, e ratificando lo stesso al Sabor, ha accettato l’arbitrato, ma anche perché il tentativo, assolutamente legittimo, di raccolta delle firme necessarie per indire un referendum sull’Accordo slo-cro, è fallito in modo del tutto legittimo!

Non sto dicendo che dobbiamo essere risentiti del fatto che gli abbracci fra Roma e Belgrado sono calorosi, a differenza di quelli fra Roma e Lubiana o Zagabria. Non ritengo nemmeno che Roma debba includersi nella controversia cro-slo sui confini. Non lo ritengo perché questo sarebbe il modo giusto per dar vita a un’inimicizia, e le cose sull’Adriatico già non sono rosee. In verità, a dirla tutta i rapporti sull’Adriatico non ci sono, e non ci sono nemmeno particolari interessi e quindi, forse, Roma potrebbe essere un po’ più saggia visto che Lubiana e Zagabria non lo sono per niente.
E così tutto fa supporre che Roma stia cercando a Belgrado la strada che porta a Sarajevo, Zagabria, Lubiana, Skopje, Pristina, Podgorica; una storia alquanto bizzarra, ma speculazioni del genere hanno la loro ragion d’essere, perché voler fare di Belgrado la base UE per i Balcani è un bene dal punto di vista bilaterale, ma tutto sta ad indicare che credere che Belgrado possa diventare il nuovo centro di ricostruzione dei rapporti tra i Paesi dell’ex Jugoslavia significa fare un ragionamento che è fuori dal mondo. O forse siamo semplicemente di fronte a una scelta dovuta al fatto che l’Istria con tutto il suo carico di vicende psicologiche, con le sue foibe e con l’esodo non è in Serbia? O, in maniera del tutto semplice, forse l’Italia, che controlla il sistema bancario croato, e anche parte di quello sloveno, attraverso la Zastava (et C.) desidera ricostruire la sua posizione in Serbia?
I rapporti adriatici sono molto instabili, e questo non è nell’interesse di nessuno, né dell’Italia, né della Croazia, né della Slovenia.

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