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INDIPENDENZA = RI-CAPITAL GAIN

di Gianluca PANTO

C’è qualcosa che non funziona nel modello Italia del XXI secolo, che è a mio avviso uno dei principali motivi del fallimento di questo stato ottocentesco, colosso d’argilla, lento e polveroso.
La generazione del “plusvalore “, la forza lavoro dell’operaio, che trasformata in merce assume valore di scambio è per me una visione superata di un mondo che non esiste più..
Prendo in prestito la seguente definizione enciclopedica alla base del marxismo:

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L’origine del plusvalore va cercata nell’ambito della produzione, più precisamente nell’acquisto della forza lavoro dell’operaio:

dove si hanno le D1 < D2 per il denaro e M1 < M2 per la merce, inoltre nella successione sopracitata compare la forza lavoro P.
La forza lavoro essendo una merce, è anch’essa caratterizzata da un valore di scambio (pari al valore dei mezzi di sussistenza minimi necessari a riprodurla)
È questa per Marx la radice dello sfruttamento insito nel capitalismo, il valore della merce –lavoro dell’uomo – è il valore aggiunto, il plusvalore con cui il capitalista accumula.

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Tolti i sacerdoti, i militari, i re e pochi altri, le classi erano sostanzialmente due, i capitalisti sfruttatori e i proletari sfruttati.

Nel Veneto, attuale colonia dell’Italia,tutti coloro che sono impegnati nella -produzione del valore, nella trasformazione di materie prime assemblate e lavorate in prodotto finito da vendere ed esportare – coincidono con le classi sfruttate, assieme.
Gli sfruttatori stanno dall’altra parte.

Gli imprenditori non detengono più o quasi capitali, se non in quantità minimale, sono oggi tutti quei titolari di piccole e medie imprese cosiddette sottocapitalizzate.
Il capitale è detenuto dalle banche e da altri veri sfruttatori.
E’ un male della nostra regione si dice, è uno stato inevitabile del sistema io dico.

La produzione di plusvalore oggi si divede a metà tra l’operaio ed il proprio padrone-ora chiamato-imprenditore, ex ricchi e da sempre poveri tutti insieme appassionatamente : artigiani piccoli industriali insieme ai loro dipendenti nonché il relativo indotto dei colletti bianchi, dei quadri ed il relativo terziario che serve a far funzionare la macchina della produzione, ovvero i vari professionisti, i detentori di partita IVA, ed i commercianti, tutti uniti e tutti sfruttati.

La produzione di plusvalore quindi persiste.Ma ora detto plusvalore finisce nelle tasche delle banche, i capitalisti attuali e delle grandi e poche imprese dal grande capitalismo famigliare che tutto controllano .
Costoro non hanno nessun interesse che cambi questo status quo, e ciò vale anche per le classi dei mantenuti vari che sono tutti gli altri che non sono impegnati nella produzione, direttamente od indirettamente, ovvero le altre “caste” protette.

Il prelievo del plusvalore avviene mediante una tassazione abnorme ed assassina che nulla lascia o quasi nelle tasche degli imprenditori e dei loro operai e impiegati che fanno parte della macchina della produzione, condita dalla carenza di servizi che devono quindi essere pagati una seconda volta.
Il contorno è una burocrazia asfissiante che amalgama e rallenta in questa gelatina informe ed appiccicosa qualsiasi innovazione e cambiamento, parole vietate in questo stato chiamato Italia.

In questo modello l’imprenditore resta perennemente sotto-capitalizzato, in quanto la sua impresa naviga perennemente sul “filo del rasoio”, senza utili particolari post-imposte che possano comportare in un certo numero di anni la creazione di campitale di “ sgancio” dal meccanismo di schiavitù di pagare mutui leasing ed operai. Se invece esiste un piccolo capitale, questo viene lentamente ma inesorabilmente eroso, riducendo la propria capacità e libertà di fare impresa.

Per mantenere tutto immutato le caste protette alimentano la visione e la contrapposizione effimera ed artificiosa di destra-sinistra, oggi superate, e lo stato “emozionale” ( cit. L. Schenato).

Usano la persuasione della retorica ( cit. C. Michelstaedter) che al travaglio dell’intelligenza preferisce i tortuosi percorsi dell’apparenza.La retorica come arte del sedurre e convincere più che il pensiero finalizzato alla verità.

La “teatrinocrazia” televisiva, il dominio della chiacchera sul pensiero ( cit. Neil Postman).

Nelle more sistemiche ci troviamo di fronte ad un vero problema sociale, di imprenditori che lavorano 12 ore al giorno senza avere guadagni corrispondenti all’impegno ed al rischio, e la classe operaia sfruttata con stipendi inferiori alla media europea,entrambi vanamente impegnati nella ORAMAI impossibile impresa di salvare la propria azienda dalle fameliche fauci dei divoratori di “plusvalore”.

Chi può fugge ( es. North-Face Pederobba 2009 ), chi se ne accorge chiude precipitosamente, chi resta agonizza (es. Fervet Castelfranco Veneto 2010 ), altri falliscono ( Rosada 2010).

Nessuna nuova attività può oggi essere avviata, al massimo si possono faticosamente e penosamente mantenere le posizioni, senza certezze, senza futuro.

Le imprese venete, sono come delle scatole, ignorando le storie personali e le persone in esse contenute si prendono, si usano, si valutano asetticamente col modello anonimo di “Basilea 2” e se non passano l’esame freddo del software predisposto, si buttano. Sono diventate delle entità monouso, -usa e getta-.

Fuori dal gioco una massa di benpensanti, ognuno con la propria ricetta per sconfiggere la crisi, ma certamente senza aver mai visto una fabbrica, indossato un casco antinfortunistico, risolto un problema, gestita un’emergenza. Costoro stanno al caldo d’inverno, al fresco d’estate, ma incurante l’orda, la fiera, puntualmente si presenta famelica a reclamare la propria grassa dose di “plusvalore”.

Ecco dove finiscono i nostri 1,5 miliardi di euro/ mese.

La divisione del plusvalore è cominciata ieri, persiste oggi e viene pianificata già per il domani. Paradossalmente si litiga non sulle risolse attuali ma su quelle ancora da produrre, semmai ce ne saranno.

Alla luce di ciò non riesco più a capire dove stia oggi la destra o la sinistra e se ancora si può fare questa classificazione, non credo .
Cos’altro non sono se non buccie e residui di vecchie ideologie, frammenti che galleggiano nel magma di un liberismo piu’ o meno zuccherato con zaffate di welfare.

Questa è una società fragile che non pianifica il futuro, non si interessa dell’avvenire, ma investe la propria massima attenzione per escogitare soluzioni non strutturali nel cieco presente, potenti analgesici per traghettarsi la sedia del potere da una tornata elettorale all’altra e lenire la condizione del momento.

Una esistenza multiforme, fluttuante ( cit. Sigmund Barman) che ci porta ogni 2-3 anni come degli ipocondriaci a cambiare la fonte dei nostri problemi e ad ingurgitare un successivo anestetico.

Analgesici economici per coprire provvisoriamente i buchi ( Tremonti ed il rientro dei capitali), analgesici emozionali per illuderci ancora un po’ di poterne venir fuori ( La Lega ed il federalismo ).

Nel frattempo gli eventi ci capitano e viviamo nella eventualità, non riusciamo a pianificare un progetto imprenditoriale e di vita perché la diade ottimismo e pessimismo ha un’incidenza forte nei processi politici finanziari e sociali. (cit. Veneziani)
Basta una nuova bomba da qualche parte e le borse crollano, la disoccupazione sale, la fiducia del nostro cliente si perde, ’affare sfuma, la banca ti basileizza, l’azienda chiude.

No. Qui si deve riscrivere tutto, trovare una nuova via, se non la terza una quarta.

Ci dividiamo nient’altro che tra il Veneto che è e quello che dovrebbe essere.

Non ci resta che l’indipendenza, essa è la chiave per spezzare questo meccanismo, l’idea progenitrice che costituirà la nostra nuova forza elettromotrice.
Poi dovranno essercene delle altre dopo anche, perché da sola non basta.
Non certo fanatismo, non certo il cinismo, non il paradiso in terra, che non esiste, non il mondo nuovo dell’uomo nuovo dell’ordine nuovo.

Ma senza risorse non ci sono strategie, senza il tempo rubato dal produrre non ci sono sviluppi di idee per il futuro.

Ecco, perlomeno dopo si ricomincia,L’INDIPENDENZA è la ri-taratura della dimensione dello stato su di un gruppo di cittadini motivati. Automaticamente rinasce la comunità, si stabilisce una famiglia.
Un terreno fertile per seminare nuove idee, vederle crescere e svilupparsi.

Non un’utopia quindi, ma un laboratorio di opportunità,una piattaforma di certezza.

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