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COLITALY

Il paese della colite cronica

Sono circa 40 anni che viaggio in treno. Per diletto e assai più spesso per lavoro. Ho viaggiato in tutta Europa, ed anche negli USA. Mi piace, idealmente, il treno. Leggo, penso, scrivo, guardo i panorami. Sogno, magari di essere sulla Transiberiana, medito, chiacchiero con persone sconosciute, spesso simpatiche, spesso straniere. Posso alzarmi per bere un caffè, e per altri bisognini, come si dice. Per sgranchirmi le gambe e le braccia, per curiosare negli altri vagoni. Ho avuto nella mia verde età amorini nati in carrozze ferroviarie (perfino, quant’è bella giovinezza, in esse frettolosamente consumati). Ho sviluppato una simpatia anche letteraria per i treni, mi piacciono i film, come “Cassandra Crossing”, o “Quel treno per Yuma” – finanche il remake di questo celebre classico western, con Russell Crowe – e ho letto con piacere i libri del mio collega Wolfgang Schivelbush, storico berlinese delle ferrovie ottocentesche, e di varie altre aree di “cultural history”. Un gran western di Sergio Leone, “C’era una volta il West”, con un meraviglioso Henry Fonda al tramonto della carriera, è in fondo una grande saga della ferrovia, il “cavallo d’acciaio” che porta la fine dell’epopea mitica di cowmen, sceriffi e pistoleri.

Ebbene, da quarant’anni almeno il sistema ferroviario di ITA è per me (come per milioni di altri passeggeri) sempre lo stesso, fonte di perenne sconforto, rabbia, talora perfino malattie.

Insomma, detto sic et simpliciter, in soldoni, fa schifo.

Un rapido calcolo mentale mi fa tranquillamente affermare che in almeno il 60% dei casi i treni di ITA da me presi viaggiavano in ritardo, per ragioni spesso inspiegabili, o spiegate in perfetto italianese dal capotreno. Una volta mi è capitato perfino di udire: “il treno è in ritardo di 15 minuti perché è in ritardo”. Una frase bellissima, uno studioso di filosofia del linguaggio potrebbe scriverci un articolo per “Mind”. Uno di metafisica, senz’altro, uno per il “Journal of Metaphysics”, e sicuramente li pubblicherebbero.

Le ragioni: si tratta di una delle componenti di ITA, non sappiamo bene ora se e come “privatizzate”. Mah.

Oggi, 19 marzo 2010, a pochi giorni dal mio compleanno, per l’ennesima volta il treno da Como giunge a Milano Centrale con venti minuti di ritardo. Il treno Frecciarossa delle 15:05 per Venezia (che bel nome, anche questo un pochino western, ma “Freccenere” non ce ne sono? Vi ricordate la Freccia Nera, che serial commovente…con una sigla veramente poetica: la freccia che si scaglia, e inizia la nuova battaglia…) invece a Milano parte con puntualità nazista. Io ed un drappello di giovani tedeschi provenienti di lontano cerchiamo di raggiungere il binario, ma no, il ferroviere, zelantissimo servo di TRENITA, fischia, sogghignando al mirarci affannati, sudati, prostrati, e via la freccia s’invola. Pare, così decisa, la mirabile locomotiva di Guccini, lanciata a tutta forza contro l’ingiustizia (quella di essere in ritardo, ovviamente). Io sono fuori di me, ma anche i ragazzoni tedeschi. Commentando gentilmente, guardandomi un pochino timorosi ma anche spavaldi (e se capisce ed è italiano, cosa ci dirà mai): “Italien, Scheisse, immer so, immer so! In kulo!!!”. Al che li rassicuro: “Sono d’accordo, ganz und gar!”.

Nel frattempo però, già furioso come un mamba nero, confuso al bordo d’un binario triste e solitario, mi sento avvolgere dalle note dell’Inno di Mammelli, Dio risparmiami questa abiezione. Donde proviene? Non lo so. Ma mi pare da schermi che alternativamente proiettano immagini di Casini e Di Pietro. Oddio, è troppo. Potrei morire. I due ciancicano frasi insensate, appare una scritta: “Solo i migliori”. Sono gli Udici (sdrucciolo, accento sulla u, la “s” iniziale cade per pietà), se loro sono i migliori, non oso immaginare gli altri. Barcollo, ho bisogno di bere qualcosa, un pulque, un latte di suocera, un assenzio, insomma, che sia sopra i 70 gradi.

Esco e m’avvio verso la gran Milano che è da bere e senz’altro dunque avrà bar e bistrot. Ma nell’atrio di quella Stazione, che una volta aveva una pur minima dignità architettonica, ora scempiata da un intervento di riammodernamento interno da brividi (Sgarbi non s’è pronunciato?) (ma tanto, come dice Fantozzi, “Facciamo finta che, tutto va ben, tutto va ben”…), mi imbatto in una visione orwelliana.

In una sorta di perimetro delimitato da quattro megacontenitori bianchi, alti un metro, vi sono altrettante ragazze biondissime, altissime, lunari, vestite con una tuta bianca da astronauta. Offrono gratuitamente microlattine di Coca Cola Light, estratte freddissime da quei medesimi contenitori, evidentemente frigoriferi high-tech. Parlano con un accento strano, tipo i vampiri di “30 giorni di buio”. Forse, sono straniere. Come me. Sono però molto gentili: mi accosto ad una, alta e sorridente, le chiedo cortesemente una lattina, e me ne regala due. Ma allora il paradiso esiste, ed io che ero così arrabbiato. Ho perso un treno, sono trafelato, ho perduto appuntamenti importanti, ma vedi che per quel che ti viene rubato, qualcosa il mondo, una vera armonia prestabilita alla Leibniz, ti restituisce. La ricompensa! E allora non dovrei poi essere così arrabbiato, tanto da sfogarmi immantinente su Facebook.

Ma in una sorta di agnizione tragica, capisco tutto. Dopo il fallimento di McItaly, ora finalmente sappiamo qual sarà il nostro destino.

Il paese che ci dà la colite al solo nominarlo, si offre a noi nella sua vera natura.

Ora che per tutte queste prove mi sento vicino alla fine, vedo, forse già nell’agonia, forse già preda di mistiche visioni, forse già all’ultimo stadio di estasi, da uno schermo immenso apparire Lui, il nostro Sire, il Berluscon, finalmente. Miraggio, realtà? Lo attendevo, ora che sono prossimo al trapasso E quasi immaginavo le Sue parole, rivolte a tutti, ma a me in particolare:

PRENDETE, BEVETENE TUTTI, QUESTO E’ IL MIO SANGUE!

E allora tutti, a frotte, tedeschi, itagliani, ferrovieri, in preda ad una euforia senza nome, si gettano sulle biondone, “Dateci, dateci le microlattine”…Loro sono nel panico…”La light l’abbiamo finita!!!”. “E allora saziate la nostra sete con la Zero, non lo capite che ardiamo!?”. “La Zero… mo’ arriva!”

Saranno le ultime parole che avrò ascoltato da vivo.

Paolo L. Bernardini
Presidente Emerito
PNV

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