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Aloha State

Io, usando un eufemismo, non amo particolarmente le entità statali in quanto si accompagnano con la coercizione contro l’individuo. Può sembrare quindi paradossale che io sia socio e attivista di un partito che propone la nascita di un nuovo Stato. La spiegazione in realtà è molto semplice: io mi batto per un nuovo Stato leggero (il più leggero possibile), rispettoso dell’individuo, nel quale il governo non mette becco negli affari delle persone e nel quale vige la democrazia diretta. A mio modo di vedere, la polverizzazione della coercizione politica statale passa attraverso la disintegrazione dei pachidermi statuali ottocenteschi come lo stato italiano e la nascita di una pluralità di nuove entità, come può essere la Venetia, aperte al libero commercio che, facendosi concorrenza tra loro e con i loro stessi territori interni che si fanno concorrenza (come in Svizzera) per attirare capitali e cervelli, alimentano un circolo virtuoso di pace e benessere per tutti. La Venetia, ossia la terra nella quale vivo per adesso, potrebbe essere uno Stato che ha tutte le caratteristiche sopra indicate. Le Hawai’i, dalle quali sono tornato dalla luna di miele pochi giorni fa, sono un altro esempio di territorio che non si capisce bene il perché facciano parte di uno Stato pachidermico come gli USA.

Le Hawai’i sono un arcipelago in mezzo al Pacifico formato da otto isole principali più un centinaio e passa di isolette minori. La storia delle Hawai’i è affascinante e ricca di personaggi grandiosi. La popolazione indigena arrivò in un periodo di tempo compreso tra il 300 e l’800 d.C. dalla Polinesia sviluppando nel tempo una cultura e civiltà originale che non si può minimamente definire selvaggiaarretrata. Il primo contatto con gli europei avvenne nel 1778 ad opera del famoso capitano James Cook (che lì vi trovò la morte). Nel 1810 il re Kamehameha I unificò le Hawai’i sotto il suo regno utilizzando anche tattiche militari occidentali. Le Hawai’i erano un regno riconosciuto a livello internazionale ma nel 1893 un colpo di stato ordito da ricchi possidenti europei e statunitensi depose l’ultimo monarca della storia indipendente dell’arcipelago, ossia la regina Lili’uokalani. Subito venne chiesta l’annessione agli USA, fondamentalmente per ridurre i dazi americani sullo zucchero. A quei tempi però gli Stati Uniti erano ancora pervasi da spirito antiimperialista memori della loro stessa storia di liberazione: preso atto del fatto che si trattava di un colpo di stato illegale, rifiutarono l’offerta. Venne allora proclamata la Repubblica delle Hawai’i ma alla fine, dopo la conquista americana delle Filippine e di Porto Rico a seguito della vittoria contro la Spagna e la nascita conseguente dell’impero americano, gli USA accettarono l’offerta e nel 1896 il fu Regno delle Hawai’i divenne il Territorio delle Hawai’i. Infine, nel 1959 il Territorio si trasformò nel 50° e ultimo Stato dell’Unione.

Nonostante siano uno degli arcipelaghi più geograficamente isolati, non si può dire che le Hawai’i non siano state attraversate da fiumane di gente proveniente da un po’ tutto il mondo. Per la loro storia, queste isole oggi sono un divertente smisioto, un melting pot simpatico che però non può far dimenticare il passato di violenza e imposizione straniera subito dagli hawaiani. Violenza culturale che, per esempio, ha causato la scomparsa de facto della lingua hawaiana. Come mi ha raccontato un simpatico e loquace taxista di Honolulu, i cui nonni erano rispettivamente azzorriani, nativi hawaiani, olandesi e americani, nessuno parla più l’hawaiano, al massimo lo si conosce un po’. Oltre agli onnipresenti aloha e mahalo, si conosce qualche parola, qualche canzone in hawaiano, ma come lingua parlata nella quotidianità non esiste. Il taxista di cui sopra però mi ha incuriosito perché si sentiva profondamente hawaiano e continuava a ripetere noi hawaiani qua, noi hawaiani là e mai una volta ha detto noi americani. Alle Hawai’i, nonostante i nativi hawaiani siano il 9% della popolazione dello Stato, ho avuto l’impressione che il substrato hawaiano, nonostante la palese americanizzazione, sia vivo e pulsante e faccia come da collante a quella società così simpaticamente variegata.

Non so dire se le Hawai’i abbiano guadagnato dall’annessione americana. Probabilmente ci sono stati molti aspetti positivi ma questi aspetti positivi si sono sviluppati sopra una base di usurpazione e, diciamolo, colonialismo. Non è accettabile l’argomento paternalista del fardello dell’uomo bianco che porta la civiltà ai selvaggi anche per il semplice fatto che reputo più selvaggio chi toglie con la forza l’indipendenza a una popolazione. Oggi l’economia si basa fondamentalmente sul turismo, sui trasferimenti del governo centrale americano a causa della forte militarizzazione dell’isola (in questo le Hawai’i assomigliano molto alla Sardegna) e sulle coltivazioni di ananas e caffè. Io penso che se gli hawaiani, così come i veneti o i sardi, si svegliassero dal loro torpore e diventassero indipendenti, avrebbero gli strumenti per vedere la loro condizione migliorata decisamente. Questo arcipelago è un vero e proprio paradiso e potrebbe vendere molto più caro di adesso la sua bellezza. Gli hawaiani padroni del loro destino potrebbero per esempio, aiutati dalla loro posizione tra Americhe e Asia, diventare anche un paradiso fiscale oltre che naturale; perché no? Tutti insieme, nativi hawaiani e persone i cui avi sono arrivati da chissà dove, tutti comunque hawaiani, potrebbero costruire una società nettamente più vivibile e più rispettosa dell’individuo riappropriandosi del loro futuro. Mi è sembrato invece che oggi gli hawaiani siano schiacciati psicologicamente da un’appartenenza fittizia a un’entità statale letteralmente lontana migliaia di miglia; un po’ come noi veneti. Agli amici hawaiani vorrei dire di guardarsi bene da chi parla con la retorica nazionalista di stati pachidermici come fosse il rappresentante del bene contro il presunto cattivo egoismo di chi vuole uno Stato più a misura di individuo. A chi ciancia un giorno sì e l’altro anche, come un certo presidente di un certo stato con il quale purtroppo ho a che fare, di salti nel buio riferendosi alla voglia di indipendenza, voglio dire che è lui il vero egoista. Da chi nega il principio di autodeterminazione e racconta una storia falsa e con uno spessore da asilo nido bisogna guardarsi bene e diffidare in quanto vero egoista parassita e vero provinciale che si chiude all’interno di un’entità statale superata e inutile.

Mahalo amici hawaiani per la vostra ospitalità e la vostra stupenda nazione. Vi porterò sempre nel cuore.

Luca Schenato
PNV Verona

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