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Padania e Insubria: l’invenzione della tradizione a danno dei popoli

di Paolo Bernardini

In questi giorni l’università in ITA in cui insegno, l’Università dell’Insubria,  si trova gettata in una grandissima crisi, con attacchi molto duri all’operato e alla figura del Rettore, il professor Renzo Dionigi, in carica dal 1998 e dunque dalla nascita dell’ateneo. Gli attacchi riguardano la gestione dell’ateneo, finanziaria e accademica, e sui giornali locali, come “La Provincia”, si parla chiaramente di ateneo “al collasso”. La lettura dell’articolo di ieri è importante per comprendere i termini della crisi.

Aldilà della stima che nutro per Renzo Dionigi, medico e storico di grande intelligenza e costanza, e umanità e scienza (stima che mantengo comunque, aldilà delle sue simpatie politiche, dell’idea di laurea honoris causa a Bossi – per illusionismo? – e altri aspetti di una personalità fortissima, “larger than life”, che non condivido) vorrei fare qualche osservazione generale.

Ora, l’occasione si offre, perlomeno a me, per una riflessione ampia sia su ogni forma di “aggregazione”, ovvero collettivizzazione istituzionale, sia nel caso di specie, sul concetto di “Insubria”, insignificante se non avesse parentele nefaste con quello di “Padania”, che ha concesso ad un partito politico ITALIANO, in tutto e per tutto, la Lega, di ingannare milioni di elettori e tradirli, letteralmente, per decenni, fino ad oggi. Un tradimento vergognoso, nella promessa di una libertà che nessuno dei rappresentanti maggiori della Lega vuole, poiché, nella forma vaga, astratta, e pseudo storica in cui è stata posta (il “Nord”, la “Padania” etc., e anche l’”Insubria”) è tragicamente e comicamente  (ma soprattutto tragicamente ) irrealizzabile.

Ora, prima di tutto una riflessione sulle aggregazioni.

La peculiarità, l’identità, la proprietà, e storia di un individuo è quanto un liberale classico deve prima di tutto proteggere e preservare, a costo della vita. E’ il bene più grande, poiché l’individuo, questo atomo di carne e anima e spirito, non è ulteriormente scomponile, almeno in vita (ai credenti come me piace immaginare che l’anima si involerà per i Cieli o sdrucciolerà malamente all’Inferno nell’atto di morire). Per un’istituzione la questione è diversa; è positiva e necessariamente collettiva. Ma nel tempo assume forme individuali caratteristiche, che devono essere preservate. L’Insubria è un ente collettivo che mette insieme realtà storicamente diverse, soprattutto Varese e Como, vicine in linea d’aria, ma con una storia, anche recente, del tutto differente. Che poi un gallo insubre, Insubrix, vagolasse con tanto di menhir sulle spalle 2500 anni fa da una valle all’altra, facendo la spola, poco conta, diciamo la verità.

Detto altrimenti: nella Venetia libera le università manterranno la loro denominazione, ovviamente. Magari potrà nascere una Università della Venetia, ma forse non sarà neanche necessaria, visto che Padova, che nasce del 1222, ha avuto oltre sei secoli di storia prima di ITA, e speriamo almeno altri sei secoli di storia dopo che da ITA la Venetia si sarà distaccata.

Ogni forma aggregativa, coatta, e innaturale, danneggia gli uomini come le istituzioni. E questo vale anche per le università. Neanche i muscoli di Arnold Schwarzenegger, e la sua determinazione, hanno risolto il collasso (direi qualche centinaia di unità di misura superiore, in termini economici, a quello dell’Insubria) dello University of California System. Che comprende, ricordiamolo, campus del peso di UCLA, e di Berkeley. E uno, a Merced, nella San Joaquin valley, che vive in uno stato di limbo costosissimo, forse non sarebbe stato neppur necessario crearlo.

Anni fa sul “Corriere del Veneto” scrissi un articolo critico nei confronti dell’Università di Treviso, proprio perché – non ostante il decisionismo e l’amore per Treviso della Fondazione Cassamarca, sponsor del progetto – non si era data uno statuto di indipendenza (né lo ha ora), ma dipende da Padova e Venezia (come Rovigo, credo, da Padova e Ferrara). Critico per questo, ma elogiativo per tutto il resto, visto che il complesso trevigiano restaurato da De Poli è una autentica meraviglia.

Nella Venetia libera, se i cittadini di Rovigo e Treviso lo vorranno, le Università rispettive saranno del tutto indipendenti. Perché – peraltro – non potrebbero esserlo già ora?

Ora, l’Insubria è una regione storica, abitata dalla civiltà di Golasecca, dai Galli insubri, oggetto bellissimo di studio per l’archeologia. Anche la Padania ha senz’altro un elemento unificante, il Po, e la civiltà padana – ben lo ha dimostrato Sergio Salvi – ha in effetti un’identità storica remota, e senz’altro una geografica, è (ma solo geograficamente) “regione”. Ma non sono e non possono essere – se non c’è un disegno truffaldino dietro – restituite ad una dimensione politica effettiva. Quando si vanno a cercare antecedenti lontani nella costruzione di nuovi Stati, c’è il rischio di non vedere invece i precedenti recenti: la Venetia, la Liguria, e la stessa Lombardia. Le interazioni tra popoli in tempi recenti (recenti, ovvero 2000 anni almeno!), e la costituzione della loro identità, sono le basi per il ritorno dell’indipendenza politica. La chimera mostruosa della Padania getta oblio su millenni di storia in cui si sono definiti confini politici e linguistici tra i popoli padani stessi: la Serenissima non ha mai conquistato né Mantova né tantomeno Milano; i rapporti tra Piemontesi e Lombardi sono sempre stati tesi, senza neanche bisogno del tradimento, tutto piemontese, operato nel 1848 a danno dei lombardi stessi.  Il Po è bellissimo perché ha collegato nei secoli civiltà radicalmente diverse, non perché rappresenti il simbolo di una civiltà sola, pacificamente unita da una medesima identità lungo 652 chilometri. Bossi e compagnia hanno inventato un marchio truffaldino, e lo hanno venduto a popoli terribilmente assetati di libertà. Ma come l’acqua del Po a Pian del Re è cristallina, e a Ferrara sozza di milioni di tonnellate di escrementi suini, così un primigenio, sorgivo desiderio di libertà è stato corrotto fino al midollo da un obiettivo insensato, la Repubblica del Nord, la Padania libera, e così via.

Lo stesso vale per l’Insubria, per fortuna nessuno l’ha tirata fuori come “Insubria libera”, visto che un pezzo della regione storica cade in Ticino e loro liberi lo sono già, e ricchi e prosperi. La libertà da ITA (libertà negativa) coincide con la creazione di Venetia, Liguria, Sardegna, Sicilia, Toscana, etc. libere e indipendenti (libertà positiva). Sic et simpliciter. Poi la questione dei confini la si risolve per vie diplomatiche e democratiche (ad esempio, Bergamo e Brescia, chi se le piglia, o piuttosto, come correttamente dovrà essere posta la questione, dove vorranno andare, e tutta la riva sinistra d’Adda?). Invece se si inventa il mostro “Padania”, quel che succede è che in ITA si rimane. Che è quel che vuole la Lega, così continuano ad arricchirsi i loro vertici con prebende e ministeri e consigli regionali.

Per quel che riguarda invece la mia università, in altra sede locale comunicherò il mio pensiero. Molto meglio sarebbe un’università a Como, che si chiamasse magari “Alessandro Volta”, ed una a Varese (con il nome di una delle numerose personalità locali, perché no “Renzo Dionigi”, l’università l’ha voluta, creata, gestita lui, e non è certo figura marginale, né come medico e scienziato,ovviamente, ma neanche  come storico!).

Ma questo è un discorso di principio, liberale-classico, che va aldilà del caso di specie, e che vorrei fosse applicato in futuro anche nella Venetia libera. Ha anche un nome (in senso tecnico lievemente diverso come significato): Sussidiarietà.

Paolo L. Bernardini

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