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I demiurghi della rivoluzione

Ahmed MaherEccolo nella foto, è lui uno dei leader della protesta inziata con “il giorno della rabbia” che ha portato in diciotto giorni alla caduta di Hosni Mubarak, dispotico presidente alla guida ininterrotta dell’Egitto per trent’anni, e alla “rivoluzione dei papiri”.
Si chiama Ahmed Maher, trent’anni, è ingegnere civile. E’ lui che assieme ad un manipolo di altri giovani come lui hanno fondato il movimento “giovani del 6 Aprile”, quello che a partire dal 25 Gennaio scorso ha avviato quella che presto sarebbe diventata un’autentica rivoluzione. Ne parla Al Jazeera, in un servizio andato in onda oggi, in cui ripercorrendo le tappe di questa storia ha svelato i retroscena, e le modalità con cui tale rivoluzione si è verificata.

Nello sfondo una situazione economica disastrosa, dovuta principalmente ad una corruzione e ruberie corroborate da comportamenti civici immorali diffusi, che hanno lasciato il paese scivolare in una condizione di povertà tale per cui molte persone vivono con meno di due dollari al giorno. Uno scenario che il 6 Aprile 2008 aveva portato all’esasperazione e ad uno sciopero generale a Mahala, dove una larga base sindacale ha sede, e che portò in quell’anno a disordini e proteste diffuse. Ed è proprio in ricordo di quel giorno a cui si è ispirato il nome del movimento “giovani del 6 Aprile”.

“Avevate pianificato tutto questo?” chiede la giornalista di Al Jazeera, e uno dei membri dell’organizzazione ha risposto: “Si, lo abbiamo fatto. Abbiamo pianificato di portare tanta più gente possibile nelle strade”.
La protesta ha inizio il 25 Gennaio, ispirati con entusiasmo dagli avvenimenti appena accaduti in Tunisia, dove in breve il governo era stato ribaltato con un colpo di stato eseguito dai militari supportati dalla popolazione.
I messaggi correvano per tweetter e facebook, e l’organizzazione partita da questi giovani, acculturati, emancipati a computer e internet, e promotori di democrazia, aveva iniziato la sua discesa nelle strade, invitando dei lavoratori allo sciopero. Mercoledi 26 diverse organizzazioni sindacali si erano affiancate ai dimostranti, e come un incendio selvaggio aveva presto infiammato praticamente ogni settore dell’economia egiziana, e in particolare aree sensibili quali Suez, i servizi elettrici, di telecomunicazioni, trsaporti, petrolio e carbone.
In Mahala 24ooo lavoratori delle più grandi industrie tessili del medio oriente erano entrati in sciopero.


Mohamed ElBaradei, direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) e premio nobel nel 2005 per la pace, grande oppositore di Mubarak, da Vienna vola a Cairo per affiancarsi ai dimostranti e offrirsi come guida sostitutiva del paese. Anche i Fratelli musulmani, altro fiero opponente di Mubarak e parte di un’organizzazione che attraversa i paese musulmani del nord Africa ed ha anche sedi in USA, e che conta in Egitto un 20% di sostenitori, si affianca alla protesta sostenendola con energia e riscuotendo ora le attenzioni dell’Iran, che in questo spera in una rivoluzione dagli esiti analoghi a quelli che avevano portato all’ascesa degli Ajatollah in Iran, ed i timori di Israele che al contrario vede minacciata la sua posizione e perde un paese che aveva sempre mediato con i paesi arabi.

Se già il mercoledi Mubarak aveva fatto chiudere twitter e facebook non prima di avere ispezionato i profili e inviato la polizia per arrestare i contestatori rintracciati in questo modo, per contrastare le pianificate dimostrazioni previste per il Venerdi sucessivo avevano portato alla incredibile azione di Mubarak di chiudere completamente Internet, e i servizi di telecomunicazioni mobili. Azione che non ha fatto altro che buttare benzina sul fuoco. Una marea di persone si era riversata nelle strade, e venne sfidato il coprifuoco.

Dietro alle quinte di questa forza rivoluzionaria ci sono persone come Ahmed Maher, persone dotate di cultura, preparate e giovani. Gli inviati di Al Jazeera mostrano come si erano preparati, un’organizzazione che non era nata il 25 Gennaio scorso, ma molto tempo prima e che per lungo tempo si era preparata, mentre la scintilla di quanto era accaduto in Tunisia era servita come occasione per avviare l’azione che definitiva non era apparsa fin da subito, ma su cui avevano creduto e contato.
Il simbolo coniato (vedi figura) venne usato come richiamo, e aiuti da chi aveva vissuto le rivoluzioni in Polonia, in Ukraina e nella ex Yugoslavia avevano fornito una base informativa di addestramento, recepito attraverso Internet (evidente ragione per cui molti governi illiberali cercano pretesti di ogni tipo per tacitarla).

“E’ necessario avere una forte coesione, una organizzazione affiatata, non possono esserci contraddizioni.” Così racconta un ‘trainer’ ukraino intervistato in videochiamata. “E occorre che i coordinatori guadagnino la fiducia, perché occorre estrema fiducia che non faccia scoraggiare. Deve essere una struttura forte che resista alle azioni di disturbo che certamente si verificano. Anche se organizzati non deve esserci una sola testa, ma è meglio una struttura distribuita. Ed evitare la violenza.” Il discorso viene continuato da Maher, che dice “…certo, basta un solo idiota per essere diffamati dai media, e dare il pretesto alla polizia per fare arresti e rispondere con più violenza.”
“Chiunque, anche chi non è proprio parte dell’organizzazione, se offre il fianco con deliberate azioni violente o che lasciano pensare a violenza, come avere armi,” – conclude Maher – ” offre questo pretesto.”

La rivoluzione egiziana è un fatto straordinario nella nostra storia, paragonabile alla caduta del muro di Berlino.
La caduta di Mubarak, e la sostanziale vittoria degli insorti, anche se non ha ancora esiti chiari e ora lasciano l’Egitto sul filo dell’equilibrio, ha però certamente dato una scossa a tutto il mondo arabo e al nord Africa.
Le notizie hanno corso come un flash, troppo veloci affinché i vari governi più o meno autoritari, abbiano avuto il tempo di distogliere l’attenzione dei loro sudditi. La testata Internet OnIslam.net scrive: “E’ stata rotta una barriera psicologica, non solo per il nord Africa, ma per tutto il medio oriente” – dichiara Anthony Skinner, consulente di rischi politici di Maplecroft – “Scossi per prevenire simili insurrezioni, alcuni leader arabi stanno rapidamente offrendo concessioni.”
Noi europei che di storia di rivoluzioni ne abbiamo alle spalle, tutto questo ci ricorda il periodo rivoluzionario che partì della metà de ‘700 per concludersi un secolo dopo, in cui i monarchi europei intimoriti dal possibile contagio in fretta e furia concedevano statuti e sempre maggiori diritti ai loro sudditi, mano a mano che una insurrezione infiammava una regione.

E così leggiamo in OnIslam che gli echi di questa rivoluzione stanno attraversando tutta la regione, e si parla di simili proteste pianificate in diversi paesi arabi. Così dice Mohsen Belabes, leader del RCD, partito di opposizione in Algeria, che sono pronti per Marzo. Dichiarazione rilasciata durante le proteste in Algeria di oggi, Sabato 12 Febbraio 2011. Popoli che cercano la democrazia, nella speranza di avere più equo trattamento e soprattutto maggiore libertà. Non so se il loro intento sarà soddisfatto, e non so quale “democrazia” sarà da loro adottata.
Noi occidentali vediamo un triste abuso di questa parola, e la necessità di elaborarla per perfezionare un sistema che deve avvicinarsi alle esigenze dei cittadini, e dar loro una vera voce.

Sono tempi straordinari quelli che ho la fortuna di vivere. Noi tutti abbiamo la facoltà di fare qualcosa, per lasciare un segno nella storia e non restare passivi spettatori.

Claudio G.

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