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Pace disarmata?

Il 13 febbraio in Svizzera si vota un referendum di iniziativa popolare che tocca un aspetto caratteristico della società elvetica: le armi da fuoco. L’iniziativa è denominata “Per la tutela contro la violenza delle armi” e in sintesi propone i seguenti punti:

  1. Chi acquista o usa armi deve fornire la prova di averne la necessità e le capacità.
  2. Proibito detenere a scopi privati armi per il tiro a raffica e fucili a pompa.
  3. Obbligatorio custodire le armi d’ordinanza ai militari in locali sicuri dell’esercito e che non siano cedute ai militari prosciolti.
  4. Un registro delle armi da fuoco centralizzato e non a livello cantonale come è adesso.

In pratica i promotori di questa iniziativa popolare vogliono rendere molto più difficoltoso il possesso di armi da fuoco da parte della popolazione invertendo la consuetudine svizzera di una fortissima presenza di armi tra i privati. Sono infatti circa 2,3 milioni le armi in circolazione su una popolazione di nemmeno 8 milioni. A far diventare ragguardevole questa cifra è l’arma d’ordinanza data a ogni cittadino di sesso maschile durante il servizio militare (a richiami annuali tra i 18 e 30 anni di età) che deve custodire fuori dal servizio. Finita la leva, si può scegliere se tenere o meno l’arma.

Lo scopo dichiarato dai promotori è quello di arginare il fenomeno dei suicidi portati a termine con le armi. La motivazione appare però claudicante, almeno secondo il mio personale buonsenso. Infatti secondo l’Ufficio federale di statistica nel 2008 su un totale di 1313 suicidi, solo 239 (18,2%) sono stati compiuti con un’arma da fuoco. Se poi quel 18,2% non avesse avuto a disposizione un’arma da fuoco, non si sarebbe ugualmente suicidato? Probabilmente una parte no, ma la maggioranza delle persone avrebbe, per esempio, fatto un salto dal primo cavalcavia. Ecco, se si vuole ridurre il numero di suicidi si dovrebbe vietare la costruzione dei cavalcavia. Non potendo puntare sulla criminalità, bassa in Svizzera, i partiti e le associazioni di sinistra promotrici di questa iniziativa popolare hanno usato la leva del contrasto ai suicidi. In realtà io ritengo che la motivazione nascosta, ma neanche tanto, sia l’avversione che una certa mentalità progressista ha per il cittadino armato.

Può sembrarvi un argomento demodé, ma la libertà di possedere un’arma e quindi il diritto all’autodifesa è uno degli aspetti che distinguono i popoli liberi dai popoli diciamo meno liberi. Non per fare la più classica reductio ad Hitlerum ma è un dato di fatto che più il regime è liberticida più cerca di diminuire la potenza di fuoco dei suoi cittadini. Quando in ogni casa c’è un fucile, non è così semplice fare il gradasso impunemente e tirare troppo la corda. Tanti invece vedono nell’arma da fuoco non uno strumento di autodifesa ma un retaggio di un tempo barbaro. Si dice pistola e subito si pensa far west (sarebbe interessante anche vedere bene cos’era questo far west, ma non divaghiamo). Poco importa che le statistiche stiano lì a dirci che la correlazione tra maggior presenza di armi da fuoco e maggior crimine e/o fatti di sangue non è vera. No, la mentalità progressista vuole plasmare la realtà secondo il suo schema nel quale la persona è un eterno bambino al quale viene sempre detto cosa è meglio per lui e al quale è meglio non lasciare troppo ambito di movimento ché altrimenti chissà cosa mi combina. Tutti, almeno spero, concordiamo sul fatto che la violenza è una brutta cosa. In più, per chi come me basa la sua visione filosofica e politica sul principio di non-aggressione, la violenza è fuori dalla discussione. Dobbiamo però tenere in mente che il rifiuto della violenza non deve essere anche imposizione alla rinuncia all’autodifesa. Il fatto che la violenza sia una cosa esecrabile non deve autorizzare a imporre una limitazione alla libertà della persona. Imporre simili restrizioni alla possibilità di avere un’arma da fuoco è puro paternalismo.

Se vogliamo, questo è un limite della democrazia diretta, che è potenzialmente la migliore forma di democrazia, ma che può essere anche l’ennesima violenza della maggioranza sul singolo. Se si votasse per imprigionare tutte le persone con i capelli rossi, potrebbe capitare che la maggioranza votasse a favore; questo non toglie che quella votazione sarebbe in contrasto con i principi di libertà. Togliere le armi al popolo è uguale a privarlo di una fetta di libertà. Una volta negata questa libertà, tornare indietro sarà estremamente difficile. Se inizialmente i favorevoli all’iniziativa secondo i sondaggi erano la maggioranza, oggi siamo sostanzialmente a un testa a testa. Speriamo che per il 13 febbraio i cittadini svizzeri capiscano ancora di più che è in gioco un principio della loro libertà, una parte stessa dell’essenza svizzera. Verso la fine della sua esistenza, la Repubblica Veneta seguì una politica di neutralità disarmata. Sappiamo tutti com’è finita: conquistata da Napoleone e successivamente sovranità passata da padrone a padrone e mai più riavuta indietro. Anche la Svizzera nel corso dei secoli ha seguito una politica di neutralità, la differenza è che la Svizzera era ed è armata. Neutrale e pacifica ma pronta all’autodifesa in caso di bisogno; in pratica tanti rattlesnake quanti sono i cittadini della Confederazione.

Termino con una citazione di Cesare Beccaria:

Falsa idea di utilità è quella, che sacrifica mille vantaggi reali, per un inconveniente o immaginario, o di poca conseguenza, che toglierebbe agli uomini il fuoco perchè incendia, e l’acqua perchè annega; che non ripara ai mali, che col distruggere. Le leggi, che proibiscono di portar le armi, sono leggi di tal natura; esse non disarmano che i non inclinati, nè determinati ai delitti, mentre coloro che hanno il coraggio di poter violare le leggi più sacre della umanità è le più importanti del codice, come rispetteranno le minori, e le puramente arbitrarie? Queste peggiorano la condizione degli assaliti migliorando quella degli assalitori, non iscemano gli omicidi, ma gli accrescono, perchè è maggiore la confidenza nell’assalire i disarmati, che gli armati. Queste si chiaman leggi, non preventrici, ma paurose dei delitti, che nascono dalla tumultuosa impressione di alcuni fatti particolari, non dalla ragionata meditazione degl’inconvenienti, ed avvantaggi di un decreto universale.

Luca Schenato

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