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Regolamentazione, socialismo e tassazione

Leggo oggi dal sito di Borsaitaliana questo articolo, che copio-incollo visto che il sto della borsa và e viene. (il link originale: http://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/finanza-personale/lavoro/dettaglio.html?newsId=N324551)

In pratica siccome i professionisti italiani sono in difficoltà, e molti pensano di andarsene all’estero (ben il 63,7%, non si capisce se dei precari o del totale, ma resta un bel numero), la CGIL si preoccupa e in due parole usa la parola magica “regolamentazione” per dare maggiore potere contrattuale ai lavoratori autonomi, che se così fosse, cioè se vi fosse regolamentazione controllata da taluni sulla testa di tutti, non sarebbero più autonomi ma dipendenti. Come d’altra parte sono de facto autonomi da un punto di vista di abbandono, e dipendenti da un punto di vista di impossibilità di determinarsi, e cioè sono schiavizzati, i lavoratori “dipendenti” precari.

Insomma dal pulpito della CGIL ci viene l’ipotesi di rendere finalmente dipendenti gli autonomi. Si, la CGIL, quel sindacato di lavoratori dipendenti che per 50 anni non ha fatto altro che favorire imboscati e consegnar loro una pensione d’oro a partire dai 50 anni di età, garantendo così sostegno ai vertici della CGIL da parte di questi eletti, scaricando il problema sulle spalle dei giovani che saranno scorticati. Le vecchie cariatidi succhiano la vita delle nuove generazioni in una forma di abominio che distrugge le generazioni future abbandonandole al precariato senza futuro. Questi parassiti ora si rendono conto che le loro larve sono in inesorabile via di estinzione, e allora stanno cercando di trasformare quelli che erano sfuggiti alla rete del socialismo in lavoratori dipendenti di fatto, autonomi di nome. Si, perché quando ad un lavoratore autonomo gli dai una serie di sovvenzioni questo poi sarà costretto nel cerchio del controllo e della dipendenza. Da notare come i pesci siano finiti nella rete. Come il debitore finisce nelle fauci dello strozzino, i lavoratori autonomi finiscono nelle fauci dei burocrati sindacalisti e nelle braccia del socialismo grazie alla applicazione del socialismo strisciante attraverso tassazione e incombenze burocratiche che uno, da solo, ovviamente non può sostenere ed è quindi costretto a rivolgersi ad un commercialista ed aumentare i propri costi.
I commercialisti italiani pur passandosela male (sono anche loro dei professionisti autonomi, dopotutto*) sono delle autentiche sanguisughe finanziarie con costi esorbitanti se confrontati con quelli di altri paesi europei, per esempio la UK, la Svizzera, e la Germania. (Parlo perché sono andato ad informarmi) Non sono sanguisughe perché sono dei ladri, come ho detto se la passano male pure loro. Sono sanguisughe perché la burocrazia fiscale e nonfiscale ma comunque amministrativa italiana è da incubo, e costa molto tempo. Nel periodo delle dichiarazioni sono costretti ad un lavoro massacrante perché tutto arriva all’ultimo minuto, in quanto la fiscalità italiana è improvvisata di anno in anno e non costituisce una base su cui stabilire delle condizioni di calcolo predittivo dei costi parassiti di attività. Il sistema di controllo fiscale, si chiama Gerico, negli ultimi anni è arrivato sempre in ritardo sulle date di scadenza, rendendo spesso impossibile predeterminare il costo fiscale dell’attività.
Sciocchi ed ingenui lavoratori dipendenti sono spesso aizzati da politici e sindacalisti che non hanno mai lavorato in vita loro, inducendoli a credere che sia opportuno ingannare l’impresa sul preventivo della fiscalità in quanto l’impresa è considerata una vacca da mungere, ma questi non avendo mai fatto i contadini non sanno che le mucche vanno curate.
Ai commercialisti quindi non manca il lavoro, il loro problema è l’essere pagati, perché spesso si trovano a dover fare i conti con un servizio che è necessario per le imprese (e i lavoratori autonomi) ma è tanto parassitario da pesare gravemente sul bilancio.
Tutto quel tempo infatti deve essere pagato. Tempo che costa nelle tasche del lavoratore autonomo sottraendogli quel cuscinetto (buffer) finanziario che serviva per compensare gli inevitabili possibili momenti di calo di lavoro (che si verificano in tutto il mondo), e soprattutto costringendolo ad aumentare a sua volta i suoi costi, riducendo quindi le probabilità di trovare occupazione.
E qui il cerchio mortale si chiude.

Bandiera rossa, bandiera rossa alla riscossa….

 

Claudio G.

 

L’articolo tratto da borsaitaliana:

Professionisti precari, il 61,4% lavora a intermittenza

27 Apr 17:11

(Finanza.com) Il lavoro autonomo diventa sinonimo di precarietà. È quanto emerge dalla ricerca “Professionisti: a quali condizioni?” messa a punto dall’Istituto Ricerche Economiche e Sociali (Ires) promossa dalla Consulta delle Professioni Cgil e dalla Filcams. Ben il 61,4% tra i professionisti ha dichiarato infatti di alternare periodi di lavoro a quelli di disoccupazione, considerando gli ultimi cinque anni. Da qui le numerose preoccupazioni da parte dei lavoratori autonomi: avere compensi equi ma soprattutto tutele sociali in caso di malattia, infortunio, maternità, disoccupazione, assieme all’accesso al credito, alla regolazione dei tempi di pagamento alla formazione sono le principali timori dei professionisti autonomi e dei praticanti. Questa necessità di tutela e di riconoscimento dei professionisti si presenta come una “drammatica urgenza”, poiché ben il 63,7% sarebbe disponibile ad andare all’estero e il 40,6% dei rispondenti sarebbe addirittura disposto a cambiare lavoro pur di migliorare le proprie condizioni di lavoro. Dall’indagine Ires-Cgil emerge come “il lavoro autonomo non sia più lo stesso perché la capacità di contrattare del singolo nei confronti dei propri committenti non è più la stessa ? commenta Davide Imola, Responsabile Professioni Cgil – e, in Italia, contrariamente al resto d’Europa, non si è intervenuti dal punto di vista legislativo o contrattuale per riequilibrare la parte contraente che si stava indebolendo”.

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