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3000 industriali in marcia a Treviso: ieri Guadagnini, domani sarà Vardanega ad entrare in Veneto Stato?

Mentre l’Italia ignora la marcia degli industriali veneti, a Treviso nasce un sentimento nuovo, nel cuore produttivo d’Europa

di Gianluca Panto e Gianluca Busato

Quello di eri a Treviso è stato un evento storico. Non capita tutti i giorni, anzi non è mai successo prima, di vedere quasi tremila imprenditori veneti, uniti nel corteo silenzioso, percorrere a piedi il tratto che unisce lo stadio Monigo, dove si era tenuta l’assemblea generale 2011, con la nuova sede dell’associazione di categoria.

È invece è avvenuta, la marcia silenziosa dei 2900 industriali di Treviso su una popolazione provinciale di 750.000 persone ha avuto luogo.
Una densità tra le più altre d’Europa , un numero rappresentato di dipendenti considerevole, l’8° in tutta Italia, e una capacità contributiva per provincia al terzo posto tra tutte le associazioni provinciali di Confindustria.

Abbiamo partecipato, potremo raccontarlo ai nipotini, ci rendiamo conto di essere stati presenti ad un evento storico su scala mondiale, ci siamo sentiti un pò come se avessimo partecipato al concerto di Woodstock, o alla caduta in diretta del muro di Berlino.
Da quando esiste la rivoluzione industriale, in tutto il mondo, da metà del settecento , o dal 1920 se guardiamo il nostro territorio, non si era mai vista una situazione del genere.
I padroni che sfilano, che marciano.
Prima di allora erano sfilati solo i proletari, i bolscevichi, i sindacati, i soldati, i fascisti alla marcia su Roma, i pellegrini dal papa, gli artigiani, i quadri della fiat, i pastori, gli allevatori delle quote latte.

Prima della partenza Zaia, presente in assemblea, osserva taciturno e appare imbarazzato.
Sacconi si arrampica sugli specchi come per tentare una strenua resistenza e giustificazione dell’operato dell’ultimo ventennio e scaricando tutta la colpa sui soliti comunisti. Gentilini con la fascia tricolore ben in vista sorride ed applaude gaudente, quasi fosse del tutto inconsapevole di quello che sta per succedere, che non sembra capire, ma forse per lui capire i ventenni tragici non è così semplice.
Il cantante villorbese Grollo, urla l’inno d’italia con una fine maestria e la potenza di sigo di guerra a Lepanto. Nelle orecchie dei più, però le parole sono arrivate al cuore col latino della Juditha Triumphans. A parte le prime file, molti sono gli imprenditori che non si sono alzati ad ascoltare quell’inno.

All’inizio del corteo, dopo l’ultima tragica delocalizzazione della Datalogic, con conseguente licenziamento di 150 trevigiani, decisa proprio nello stesso giorno, una rappresentanza della CGIL con una ventina di persone e le bandiere dei lavoratori disoccupati, timida e stupita tenta una residua strenua resistenza, si oppone, si mette di traverso per rivendicare il proprio unico diritto di marciare, di chiedere, di pretendere. Ma viene travolta dalla folla in rotta della moltitudine di industriali che dilaga ovunque, a destra e sinistra, da ogni strada e via arrivano persone in giacca e cravatta e signore col tacchetto.
La situazione è surreale.
Cameramen impazziti filmano consapevoli di non aver mai visto nulla di simile.
Ai lati, dai palazzi i cittadini di Treviso osservano attoniti al balcone.
Gli ex proletari, i dipendenti, gli impiegati, i pensionati, la gente normale guarda. Chi ride chi saluta chi invece osserva in silenzio meditabondo.
Vardanega, il Presidente dice:” Non vogliamo nulla, noi siamo quelli che diamo ancora prima di chiedere”.
Ma si capisce che qualcosa è successo, questa marcia doveva essere una semplice passeggiata dimostrativa, invece ha assunto un valore politico e sociale impressionante che nemmeno gli organizzatori si proponevano.
La storia va avanti da sola a volte.
Questa è una nuova classe, che si è autoriconosciuta. Oggi non chiede, domani nemmeno.
La classe non pretende ma comunica tutta l’inadeguatezza del sistema politico e fornisce un chiaro ed inequivocabile ultimatum ad un meccanismo piatto, lento, grasso, inutile di cui si è palesata tutta l’inadeguatezza e la irriformabilità nel suo complesso.

Insomma, ieri si è messo in marcia un motore fondamentale del (Bel?)Paese. L’evento è – che piaccia o no – epocale.

Oggi ci aspettavamo che sui principali organi di informazione italiani ci fosse un’eco dell’evento almeno pari alla sua portata effettiva.

Invece no. La cosa non ci sorprende affatto, intendiamoci.

Anzi, l’auspicio è che a meravigliarsi del silenzio mediatico sia più di qualcuno tra quei tremila imprenditori trevigiani. Chi sarà sorpreso, probabilmente, diventerà più incline a prendere coscienza della propria natura di schiavo economico di uno stato che si è trasformato in una macchina impazzita, fuori controllo e irriformabile.
E gli schiavi non hanno voce in capitolo, in nessuna organizzazione coloniale che si rispetti.
Così come avvenne per chi animò il movimento dei sindaci del 20% e che si vide sbattere le porte in faccia a Roma, assieme ai 400 sindaci veneti sfilati per le vie della capitale, oggi tocca agli industriali di Treviso sfilare per le vie della città.

Ieri è stato il turno di Guadagnini, domani sarà Vardanega ad entrare in Veneto Stato?

Forse per questa ragione i media italiani non ne parlano. Nel Corriere della Sera la notizia era relagata in 49° pagina, senza alcuna citazione nelle prime.

Lorsignori sanno bene che questo è il segnale inequivocabile del Veneto Stato che avanza verso l’indipendenza.

Gianluca Panto e Gianluca Busato
Soci di Unindustria Treviso e soci fondatori di Veneto Stato

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