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Il mondo che conosciamo.

Messaggio per un 2011 di libertà

di Paolo L. Bernardini

Il 2010, per me, si è chiuso con una notizia davvero bella. E’ nato un movimento indipendentista che si chiama “Piemonte Stato”, e che promuove l’indipendenza del Piemonte. Che poi il “Piemonte” (chiamato così solo da ITA) rinasca come ducato, granducato o regno – ma senza ambire alla Sardegna, però, che già ha fatto passi innanzi notevoli verso la decolonizzazione – alla fine non è importante, anche se verosimilmente potrebbe rinascere come democrazia, in senso moderno.

Si consuma, in coincidenza con i 150 anni della trasformazione del regno di Sardegna in regno di ITA, l’epilogo di questa forma di Stato non nazionale, che probabilmente sarebbe andato meglio se alla fine fosse rimasto sabaudo, fino in fondo, senza neppure trasferire la capitale prima a Firenze poi a Roma: e coerentemente totalitario e assassino, come lo fu nel Regno delle due Sicilie.

Saranno interessanti le risistemazioni territoriali dalla Venetia libera alla Val d’Aosta – divenuta finalmente indipendente – che interesseranno quello che si sarà chiamato “Nord d’Italia”, quando ITA sarà consegnata alla storia, e gli storici potranno finalmente riscrivere una vicenda di conquista territoriale simile, molto in piccolo, a quella dell’Impero romano: come recita un libro ben scritto, “le guerre – vittoriose – dei Savoia”.

ITA farà giustamente la fine della Serbia, che poi sarà un nuovo inizio, come per la Serbia stessa, divenuto “piccolo Stato” con tutti i vantaggi che ciò comporta. D’altra parte, la dissoluzione di ITA è stata anticipata proprio davanti agli occhi di ITA stessa, con la Yugoslavia, finzione altrettanto marchiana, con il vantaggio che alle differenze linguistiche si associavano anche quelle religiose; cosa che in ITA non c’è, e dunque il processo della sua salutare disgregazione rallenta.

Ma perché sta ancora insieme, non ostante questa caricatura di basso Impero, questo triste spettacolo quotidiano di mummie e loro zelanti famuli, questa poltiglia mediatica che stravolge il senso comune e quello morale? A 150 anni tutte le vecchie malnate e malvissute dovrebbero spengersi. Se non si suicidano, si auspica quantomeno una sana eutanasia.

Sta insieme perché il mondo di oggi, il mondo che conosciamo, vive di forze magiche, che altro non sono che (anche) un oppio dei popoli, assai più di quanto non fosse la religione per Marx. E perché la promessa di felicità liberale in parte, solo in parte, ma è già abbastanza, non ostante tutto il bieco statalismo, tutto il cieco centralismo, tutti i furti di Stato e per lo Stato, si è realizzata.

Il mondo che conosciamo, quel che si vede ma soprattutto, per citare il grandissimo liberale francese dell’Ottocento, Bastiat, quel che non si vede, indicano movimenti tellurici assai più potenti dello Stato più potente, e assai più vivi.

La promessa liberale, contenuta nel pensiero di Mises, il lusso che diventa oggetto necessario, il superfluo che diventa quotidiano, ha luogo in forme che neppure il Grande austriaco poteva concepire. La rivoluzione elettronica è il primo esempio.

Ora, se Mises sosteneva che un bene per pochi, per la legge del libero mercato, e dell’abbassamento dei prezzi associato alla concorrenza spontanea e all’aumento di produzione a fronte dell’aumento della domanda, diveniva necessariamente un bene per  (quasi) tutti, indubbiamente aveva ragione. Quando Ford nel 1909 creò il T-Model, l’auto fu il primo caso di massificazione del lusso.

Tuttavia, quel che ora accade è straordinariamente diverso. Pensiamo al mondo della comunicazione. Un servizio come Facebook, ad esempio, non è riferibile al modello misesiano, per una semplice ragione: fino alla sua invenzione, tale forma di comunicazione non sarebbe stata possibile neppure al più ricco tra gli uomini, perché tecnicamente non possibile. Ora posso tenermi in contatto con migliaia di persone sparse per il mondo in un istante, senza peraltro cadere nella hybris di onnipotenza, che potrebbe farmi credere di essere Dio, che ha la visione contemporanea di tutti i tempi. Quindi siamo dinanzi a qualcosa che supera il lusso. E posso farlo a costo zero.

Ora, questa situazione, che si applica a diverse realtà in cui operiamo e di cui siamo davvero “free riders”, da un lato mostra bene quanto la libertà di pensiero, che si esprime nella scienza, e la libertà di mercato, che si esprime in produzioni tali da rendere ricchissimo chi le crea (si pensi proprio al creatore di Facebook), senza chiedere oneri diretti ai clienti (anche se c’è sempre il mondo “che non si vede” di Bastiat), giovi al mondo.

Dall’altro, tutto questo, questa sensazione di benessere materiale, impedisce alla moltitudine di rendersi conto che in realtà l’oppio elettronico, non nato come tale, ma sfruttato come tale dalla politica, addormenta le coscienze e consente a classi ormai non necessarie (posto che lo siano mai state) di politici, burocrati, parassiti di ogni sorta, di vivere alle spalle della parte produttiva della società, e di prosperare grazie ad essa.

Ma allo stesso tempo questo benessere virtuale è davvero virtuale, ovvero, dovrà diventare progressivamente sempre più raffinato, ovvero perfezionarsi nella sua funzione psicotropa, perché l’individuo, che vede in esso il proprio trionfo, si consoli, grazie a tutta questa virtualità, del suo progressivo impoverimento reale. Perché in esso vi sono anche i germi della più grande, e benefica eversione.

Certamente, l’enorme produzione di beni nel mondo, non grazie agli stati, ma non ostante essi, rende più lieve la vita. Si può comprare il cibo agli hard discount, guidare confortevoli vetture a gas a basso prezzo d’acquisto e manutenzione, permettersi il “lusso” di guidare auto di classe comprate usate in un mercato dove costano sempre meno; ma alla fine il sistema statalistico-parassitario avrà il sopravvento, ovvero, la bilancia penderà dalla parte della miseria, pur temperata dalla quantità di beni disponibili a prezzo sempre più basso. E nella lotta tra mercato sempre più libero e Stato sempre più opprimente, l’individuo sarà distrutto (dalla rapacità crescente dello Stato). Perché al progredire positivo del primo si affiancherà un proliferare del parassitismo del secondo; se ITA, lo Stato peggiore del mondo, è anche quello dove si tassa di più, c’è una ragione.

Solo facendo credere, con una delle sue infinite menzogne, che questa “prosperità” è frutto dello Stato e della politica, lo Stato si mantiene.

Ma dello Stato in generale, alla fine, qui e ora mi interessa meno.

Viviamo in ITA. E ITA è il problema. La sua dolce morte, la creazione di tanti piccoli staterelli liberi e prosperi, è la soluzione dei nostri problemi, e ormai questo è chiaro a sempre più persone. Se cessasse d’esistere in una notte, ci sveglieremmo la mattina tutti più leggeri. La fine del suo percorso storico è chiara, inequivocabile, e alla fine è meglio che termini con questo circo immondo. Così non ci sarà niente da rimpiangere.

In questi giorni, per fare solo un esempio, è stata approvata una riforma che dovrebbe assicurare il risanamento di uno dei corpi di ITA, l’università. Marcia come lo sono gli altri. Né più né meno. Ora, sinceramente i problemi che mi pongo sono quelli che riguardano le università nella Venetia libera. Ma vorrei solo osservare una cosa. Con tutto il rispetto per la Signora Dott. Gelmini, costei non appartiene al mondo dell’università. Questa è una delle infinite violenze che la politica degli Stati, ma di ITA in particolare, fa subire ai cittadini. Perché colui che si occupa dell’università dalla posizione sulla carta più alta, deve esserne estraneo? In ogni altra realtà non politica, il massimo rappresentante di un’organizzazione deve esserne parte. Affidereste la conduzione di una palestra di karate ad una cintura bianca, se ce n’è una nera, o almeno marrone, o anche solo blu?

Quel che aggrava la situazione, è che non solo figure estranee ad un campo ne determinano i destini – come se io venissi fatto capo dell’associazione mondiale dei produttori di patata, o dei bachi da seta, posto che esistano – è che non solo sono figure estranee, ma nella loro nullità sono manipolate da un uomo che ha in profondo dispregio, appunto, interi corpi dello Stato; quello per la magistratura lo esprime a chiare lettere un giorno sì uno no, quello per l’accademia lo serba in sé, pieno di rancore per il fatto che solo un ristretto numero di eunuchi dell’intelletto appartenenti ad essa gli faccia da corte e metta insieme in parlamento qualche discorsetto con non troppi errori di grammatica. E dunque, certamente gli accademici si meritano un ministro che non solo non sia accademico, ma si faccia anche veicolo dell’odio del suo padrone per costoro.

Così facendo, coloro che detengono da parassiti il potere semplicemente intendono umiliare i loro sottoposti, e d’altra parte hanno davvero ragione per disprezzarli: sono coloro che li hanno votati, quando magari potevano votare in un referendum per la libertà …della Venetia, del Piemonte, della Sardegna. Tale distorsione della realtà, però, ha un effetto morale mostruoso.

Come mettere un pedofilo alla direzione di un asilo. O si pone agli antipodi della politica e dello Stato il punto di riferimento per l’azione morale, o tale azione morale diviene palesemente mostruosa, la moralità si deforma nel suo contrario. Coloro che vedono ancora la politica come campo della moralità assoluta – i nipotini di Hegel senza saperlo, i discepoli di Fede e Vespa, i poveri di spirito che non vedranno nessun regno dei cieli ma l’inferno della miseria in vita —  sono talmente sbalestrati dall’osceno spettacolo quotidiano del falso divenuto vero e dei ronzini nominati senatori, che sottoscriveranno tutto quel che vi è di turpe non tanto e non solo nella sfera politica, che rimane loro lontana, ma in quella della loro quotidianità.

La politica che guardiamo è fomite della peggiore dissolutezza nella vita che conduciamo.

Occorre, quanto prima, porvi fine.

Tuttavia, di nuovo in prospettiva storica, e in riferimento a ITA, è bene che ciò succeda: PERCHE’ NELLA VENETIA LIBERA QUESTO NON SUCCEDERA’ CERTAMENTE. Tra le centinaia di docenti eccellenti che la Venetia liberata avrà, certamente ce ne sarà uno capace di fare il ministro dell’Università. Da convinto antifascista, avrei preso le massime distanze da Giovanni Gentile, ma certamente ne avrei avuto stima per l’immensa opera da lui svolta. In questo mondo capovolto e distorto, va tutto bene, ma l’oppio elettronico alla fine porterà anche a illuminazioni, come già sta facendo: basta, è ora di farla finita. Perché quando un pedofilo è a capo di un asilo, qualche bambino arriverà pure a casa in lacrime. E questo non va bene.

Per cui, se il mondo che conosciamo offre tante belle cose nuove, non per questo occorre tollerare l’abominevole degenerazione delle vecchie, come la politica, come ITA. La libertà è vicina perché ormai è ottenibile senza neppur spargimento di sangue. Grazie alla fioritura del nuovo il vecchio si concede l’osceno lusso di degenerare a nostro danno. Ma è bene prenderne atto. E gettarlo dal balcone, come le vecchie cose a capodanno, nell’immondizia.

Per cui conchiudo tornando là ove ho iniziato, con un saluto caro ed un augurio fraterno agli amici di “Piemonte Stato”, che aggiungono un tassello importante al panorama ormai onnipresente dell’indipendentismo italiano. E con una certezza morale: se questo 2011 vedrà ciarlatani e imbonitori, ciurmatori e ciurme, tirar fuori discorsi acciarpati e sbrindellati sulla bontà di ITA e dei suoi inizi, nel 2016 l’annessione della Venetia non la celebrerà nessuno. Ma il vessillo di San Marco sventolerà al posto del trikolore, su ogni pennone e ogni casa. E seppure io fossi all’altro capo del mondo, tornerò ad ascoltarne il ruggito.

Sarà così fiero da durare almeno altri mille anni.

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